Gaza, una guerra senza fine

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Sono tornate a tuonare violentemente le armi in Medio Oriente, in quel fazzoletto di terra che è Gaza, dove da 60 anni si consuma una tragedia che non trova prospettive di soluzione. Nella Striscia di Gaza, 360 km quadrati di terra schiacciata fra Egitto e Israele, il mare e il deserto, e una popolazione di 1,5 milioni di persone, in maggior parte discendenti dei primi rifugiati palestinesi del 1948 e del 1967, si sono accumulate ed esasperate, con l’andare degli anni, tutte le frustrazioni, le sofferenze, le resistenze e le rivolte dei palestinesi nei confronti di Israele. Per Israele, Gaza è invece nelle mani del peggior nemico: Hamas.
Benchà© conseguenza della vittoria alle elezioni palestinesi del 2006, l’arrivo di Hamas al potere ha ulteriormente complicato una già   difficile situazione, riducendo al minimo le prospettive di un dialogo e di negoziati di pace. Le posizioni dure e di lotta con le quali Hamas aveva ottenuto il sostegno di buona parte dei palestinesi avevano avuto come effetto non solo di dividere i palestinesi stessi, ma anche una ferma condanna e un non riconoscimento della sua vittoria elettorale da gran parte della comunità   internazionale. Salvo naturalmente dall’Iran e dalla Siria in particolare. Considerato solo sotto il profilo di organizzazione terroristica, Hamas non ha mai rappresentato un interlocutore possibile da coinvolgere nei tentativi delle Conferenze di pace.
Rinchiusi nella Striscia di Gaza dal 2007, Hamas e gli abitanti di Gaza hanno così visto crescere il loro isolamento, un rigido blocco economico e incursioni militari da parte di Israele che hanno imposto alla popolazione condizioni di vita difficili, dolorose e umanamente insostenibili. Rompendo una tregua, difficile da capire in queste condizioni, Hamas ha ripreso i lanci di razzi su Israele e la risposta non si è fatta attendere.
In tutti questi anni pochi sono stati i tentativi seri di pace e di dialogo, come dimostra l’ultima Conferenza di Annapolis tenutasi negli Stati Uniti nel novembre 2007. Tentativi che non hanno mai avuto un seguito nella volontà   politica di mediazione, soprattutto a livello internazionale, per trovare una soluzione condivisa fra le parti e per porre fine a questo intricato conflitto, che riesplode oggi con una violenza inaudita. Israele, senza venir meno ad una sua ostinata tradizione, ha sferrato un’operazione militare imponente contro Gaza, che ad oggi ha causato più di 500 morti e il cui obiettivo sembra andare ben al di là   di una risposta difensiva ai razzi lanciati da Hamas. àˆ in corso una guerra vera e propria, il cui esito getta una luce inquietante sulla stabilità   della regione e non solo.
Oggi ancora, proprio per le conseguenze imprevedibili che questa nuova offensiva militare potrebbe generare oltre i confini della Striscia di Gaza, la comunità   internazionale chiede un ennesimo cessate il fuoco. Lo chiede l’Unione europea, lo chiede la Russia, lo chiede la Cina e lo chiede il Papa. Ma è una richiesta di cessate il fuoco che divide sulle responsabilità   di questa guerra e che rende ancora più precaria la lucidità   necessaria per affrontare con coraggio la situazione in Medio Oriente. L’atteggiamento degli Stati Uniti al riguardo, di completo sostegno ad Israele e con il veto posto al Consiglio di sicurezza dell’ONU per il cessate il fuoco, non aiuta certo ad andare in quella direzione.
Ma, dopo il cessate il fuoco, è necessario riprendere il filo dei negoziati di pace e qui si misureranno la volontà   e il coraggio della comunità   internazionale, perchà© su questi futuri negoziati si saranno accumulati altre macerie e altri odi. L’esperienza ha già   sufficientemente insegnato che il dialogo con le armi non porta da nessuna parte.
Se la pace si fa con il nemico, sempre che l’obiettivo di questa guerra non sia quello di distruggerlo completamente, allora si potrebbe cominciare con la prospettiva di un dialogo anche con Hamas, sgretolando piano piano quell’unica percezione di terrorismo che lo identifica e considerandolo anche un movimento nazionalista e religioso che gode del sostegno della popolazione di Gaza. Si potrebbe anche immaginare, da parte di Israele, un progressivo allentamento del blocco di Gaza e offrire alla popolazione possibilità   di vita più dignitose e una libertà   di circolazione fra Gaza e la Cisgiordania. Si potrebbero anche riportare alla luce progetti elaborati dopo la guerra dei sei giorni (giugno 1967) in cui si prevedeva la possibilità   per i palestinesi di Gaza di reinstallarsi in Cisgiordania. Sarebbero i primi passi che, se le armi tacessero da ambo le parti, potrebbero portare a qualche scintilla per innescare un dialogo di civiltà   e di pace.
Purtroppo, mentre scriviamo, la guerra va avanti con sempre maggiore intensità   e, nell’attesa del cessate il fuoco, le notizie che giungono da Gaza si riducono al numero dei morti che aumenta.

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