Europa, il catalogo è questo

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L’Europa c’è e si è visto. Per chi ha occhi per vedere, che l’Europa ci sia e abbia dato risultati importanti è vero da sessant’anni, da quando statisti di razza come Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak, Robert Schuman e Jean Monnet, politici visionari come da tempo non se ne vedono più, fondarono la Comunità   Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) contribuendo a ricostruire l’Europa devastata dalla guerra e a consolidare la pace su un continente bellicoso da sempre.
Adesso che l’Europa cerca di uscire dal «dopo-guerra» dei fallimenti finanziari di alcuni suoi Stati membri e da una crisi economica e sociale senza precedenti, è tornato il momento di ripensare il progetto europeo e rilanciare un’iniziativa politica che disegni l’Unione Europea del nuovo millennio.
Non si comincia da zero: non solo perchà© in sessant’anni molti progressi sono stati fatti, le Istituzioni comunitarie si sono consolidate, l’UE è passata da sei a ventisette Paesi, molte politiche sono diventate comuni e diciassette Paesi si sono federati, anche politicamente, nell’euro; ma anche perchà© i popoli d’Europa hanno imparato a frequentarsi e a conoscersi, i giovani a formarsi in altri Paesi europei grazie al programma Erasmus, i responsabili politici a condividere problemi e responsabilità   al di fuori dei confini nazionali.
Ancora nel corso di questa estate l’Europa ha dato, seppure tardivamente, prova di esserci: l’ha fatto la Banca Centrale Europea (BCE) in soccorso ai Paesi con le finanze pubbliche in difficoltà   come la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e, massicciamente, con Spagna e Italia. Il suo intervento la BCE l’ha accompagnato, per l’Italia, con una lettera insolitamente perentoria, dettando al governo italiano la lista delle misure urgenti da adottare per affrontare la crisi del debito pubblico, mortificando una classe politica del tutto inadeguata a governare, ma esprimendo solidarietà   concreta ai cittadini italiani che da quella lezione qualcosa avranno pure imparato.
Dopo mille tentennamenti, un attore importante dell’UE, Angela Merkel, ha ottenuto dal Bundestag il via libera per sostenere il Fondo di solidarietà   a favore dei Paesi UE in difficoltà  , pagando per questo – com’era giusto e anche conveniente per lei – il prezzo più alto, ma anche imponendo vincoli e sanzioni a chi non avesse ancora capito che l’euro non è solo uno scudo ma è anche una disciplina per gli Stati dell’UE.
àˆ perಠanche vero che tutto questo ha condotto l’UE di oggi al capolinea, se non già   oltre, e che adesso bisogna mettere mano a una manutenzione straordinaria della macchina europea; meglio ancora se in tempi brevi se ne ridisegna motore e carrozzeria perchà© non si ritrovi domani in «panne» sul ciglio della strada senza carri attrezzi a soccorrerla.
Per farlo sarà   necessario, da una parte, esercitare a fondo le competenze affidate all’UE dal Trattato di Lisbona e, dall’altra, mettere mano a una sua riforma in profondità   che rafforzi la dimensione europea delle Istituzioni comunitarie e vi trasferisca competenze a oggi trattenute dalle esangui sovranità   nazionali.
La strada delle riforme istituzionali è segnata: un Parlamento con una capacità   piena di legiferare, una Commissione europea rispettata nel suo potere d’iniziativa a vantaggio di tutti i Paesi UE e non solo di qualcuno, un Consiglio dei ministri ripensato come «Camera degli Stati» in dialogo con il Parlamento UE, una Corte di Giustizia in grado di «dire il diritto» e farlo applicare anche con sanzioni severe.
A queste Istituzioni così riformate – e con alla loro testa politici di statura ed esperienza – dovranno essere affidate nuove e più ampie competenze: a cominciare da quelle necessarie per un governo comune dell’economia europea che tanto è mancato all’Europa nel corso di questa crisi, per proseguire con una responsabilità   in materia fiscale per evitare concorrenze sleali tra i Paesi membri e per tallonare da vicino le operazioni finanziarie (e qui l’avvio della «Tobin tax» sulle transazioni finanziarie è un giusto segnale da parte della Commissione), fino ad arrivare a un trasferimento di sovranità   per consentire una politica estera e di sicurezza comune (compresa la sua espressione militare, anche per evitare comportamenti come quello anglo-francese in Libia e la latitanza sul fronte mediorientale) e, a termine, politiche sociali convergenti anche rispetto ai sistemi di protezione sociale.
L’euro ha rischiato grosso, e ancora rischia, perchà© – insieme con la BCE – è stato lasciato solo ad affrontare la tempesta finanziaria, senza avere al suo fianco un’autorità   politica forte e legittimata a intervenire e senza poter contare su politiche economiche e di bilancio adeguate. In simili condizioni, all’Europa è andata anche troppo bene, ma è meglio non contare troppo sulla Provvidenza per rimediare alla miopia della politica. Vale in Europa, come in Italia.
E allora rimbocchiamoci le maniche per fare una nuova Europa e riportarvi al centro l’Italia, come ci ricorda ogni giorno il Presidente Napolitano. Che anche per questo ringraziamo di cuore.

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