Europa, Europa: pronto, chi parla?

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C’era una volta, tanti anni fa, una trasmissione Rai che proponeva un gioco: quando squillava il telefono se, prima di sapere che chiamava la Rai, si rispondeva “Europa, Europa!” invece di “pronto, chi parla?” si vinceva un premio.

Un po’ come adesso nella vita quotidiana per i nostri politici al governo che appena qualcosa gira storto, prima ancora di capirne la ragione, strillano “Europa, Europa!”, attribuendole colpe e solitarie responsabilità, sperando in cambio il premio di una maggiore popolarità presso il “popolo” elettore.

E’ stato fatto subito dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, accusando l’Unione Europea di aver fatto mancare i fondi, salvo scoprire dopo che era vero il contrario e che semmai bisognava capire perché quei fondi in Italia stentassero a essere spesi.

“Europa, Europa!” è e sarà il ritornello che sta accompagnando il percorso a ostacoli della legge di bilancio di qui alla fine di questo anno di disgrazia, dove con i ponti crollano i dati dell’economia e della finanza pubblica e rischia di crollare anche la fiducia degli investitori esteri in Italia.

Dopo l’orientamento del governo di sforare la soglia del deficit al 2,4%, non potrà che confermarsi il tentativo del ministro dell’economia, Giovanni Tria, di fare argine alla spregiudicata baldanza dei due vice-presidenti, nel tentativo di raffreddare lo “spread” e non aggravare le inevitabili tensioni con i “cattivi” di Bruxelles, arcigni guardiani accusati di affamare il “popolo”, cioè proprio la vittima finale della spericolata manovra finanziaria italiana.

Variante in commedia le parole in libertà del vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, che facendo uno strappo al copione abituale, ha additato ad esempio di saggia gestione dei conti pubblici la “nemica” Francia, coraggiosa nel mantenere alto il livello di deficit. Dimenticando che l’Italia non è la Francia, né per il suo assetto istituzionale né per i suoi dati economici e finanziari. Non per l’assetto istituzionale, nonostante le difficoltà di governo vissute da Emmanuel Macron, che però può contare sulla stabilità di un sistema di potere presidenziale lontano dalla precarietà del quadro politico italiano.

E ancor meno comparabile è la situazione economica della Francia rispetto all’Italia, dove l’esigenza di ridurre il deficit è imposta dal livello molto alto del debito pubblico, di oltre 2300 miliardi di euro, sopra il 130% rispetto alla ricchezza nazionale, rispetto al debito francese, contenuto sotto quota 100%, con la conseguenza che all’Italia il costo degli interessi costa circa 25 miliardi di euro in più che ai francesi (attorno ai 70 miliardi annui contro i circa 40 dei nostri vicini), in presenza di una prospettiva di crescita stimata per l’Italia attorno all’1% di qui al 2019 per l’Italia, poco più di metà di quella francese.

Tutto questo senza però rinunciare a ricordare a Francia e a Germania che furono le prime, nel 2003, a minare “buona parte della credibilità del Patto, seppure con la complicità di Berlusconi”, come ebbe a dire allora Mario Monti. Ma da allora il quadro politico è cambiato: la crisi economico-finanziaria ha portato in dote all’UE un discutibile “Fiscal compact” intergovernativo per la riduzione del debito che rischia di strangolare l’economia dei Paesi in difficoltà e che sarebbe saggio rivedere fuori dall’ossessione delle politiche di austerità.

Nella confusione alimentata quotidianamente dalla campagna elettorale in corso in vista delle elezioni europee non si aiutano i cittadini a capire la complessità della situazione e dei rischi che corre l’Italia, anche se queste armi di “distrazione di massa” sembrano prevalere sulle più serie e ripetute considerazioni di Mario Draghi, Presidente della BCE, davanti al Parlamento europeo, nel tentativo di mettere ancora una volta in guardia gli attuali governanti italiani alle prese con la legge di bilancio.

Comincia adesso un percorso accidentato verso l’adozione della legge di bilancio entro fine anno: prima con la presentazione il 20 ottobre in Parlamento e subito dopo con un difficile confronto con Bruxelles che, dopo le prime schermaglie di questi giorni, farà conoscere il suo giudizio entro fine novembre. E sarà dicembre, il tempo della decisione finale, quando verrà il momento di mangiare il panettone. Resta da sapere quale panettone sarà e chi lo dovrà mandare giù.

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