La dimensione rituale dei Consigli europei contribuisce non poco alla crescente disattenzione con cui vengono seguiti dai media e conseguentemente dall’opinione pubblica. Non è infatti del tutto infondata l’immagine di una liturgia che si ripete tre o più volte all’anno senza che ne derivino decisioni in grado di rispondere alle attese dei cittadini europei.
Per la verità si tratta perಠanche di una percezione non del tutto corretta: la complessità del sistema istituzionale europeo nasconde spesso nelle sue pieghe l’adozione di molte misure concrete e lo stesso Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo non si limita a formulare orientamenti politici e generose intenzioni, ma è anche luogo a volte di decisioni forti.
C’è un po’ di tutto questo nel Consiglio europeo di primavera, svoltosi la settimana scorsa a Bruxelles. Il comunicato finale che contiene le conclusioni del Consiglio europeo ne è lo specchio fedele: dopo un inizio un po’ declamatorio sulla necessità di «riuscire l’Europa», un accenno prudente ai progressi, pochi per la verità , della strategia di Lisbona con la conferma di una crescita del 2,7% nell’anno in corso, l’ossessivo richiamo al risanamento dei conti pubblici e alla competitività europea, le conclusioni affrontano tre sfide forti che attendono l’Europa.
Si comincia con l’impegno a rafforzare l’innovazione, la ricerca e l’educazione. Alla ricerca andrà destinato entro il 2010 il 3% del prodotto interno lordo (PIL) e viene rinnovato l’invito ad una maggiore cooperazione tra i vari soggetti europei e ad investimenti nelle tecnologie del futuro. Sul versante della formazione – che con la ricerca e l’innovazione compone il «triangolo della conoscenza» – si registrano incoraggianti progressi, in particolare nella modernizzazione dell’insegnamento superiore.
Più cauto il capitolo dedicato all’occupazione e al rafforzamento del modello sociale europeo: è confermato l’obiettivo di un «lavoro di qualità » a fronte delle derive della precarizzazione e l’esigenza di un equilibrio tra flessibilità e sicurezza, richiamata l’esigenza di rafforzare la coesione sociale lottando contro la povertà , in particolare quella dei bambini e, di fronte alla crisi demografica, affermata la necessità di realizzare in Europa un’»alleanza per la famiglia». L’impressione che si ricava dalle risposte delineate a queste due fondamentali sfide è quella di una litania di buone intenzioni ancora lontane da politiche concrete e vincolanti: proprio quel genere di letteratura che difficilmente farà innamorare i cittadini della loro Europa.
àˆ sulla terza sfida, quella di «una politica integrata in materia di clima e di energia» che la musica cambia. Sarà stato il trauma di questo strano inverno e le denunce sul surriscaldamento del pianeta, sarà l’esigenza politica di presentarsi fra qualche giorno con qualcosa in mano alla festa del 50° compleanno dell’UE il 25 marzo prossimo a Berlino, sarà stata la caparbietà e l’abilità negoziale del Cancelliere tedesco, ma qui un risultato importante – più di un osservatore ha parlato di «miracolo» – è stato raggiunto da un’Unione europea decisa a buttare il cuore oltre l’ostacolo e ad assumersi finalmente le sue responsabilità per la salvaguardia del pianeta e, cosa compatibile, per difendere i propri interessi economici e politici nel mondo.
Le decisioni prese sono note: l’UE si impegna unilateralmente a ridurre l’effetto serra del 20% entro il 2020 rispetto al 1990, pronta a spingersi fino al 30% se si troverà un accordo globale a livello mondiale nel 2012. Sempre entro la data del 2020 le fonti energetiche rinnovabili dovranno rappresentare il 20% del consumo energetico dell’UE (oggi l’Italia è a quota 6,2%), i biocarburanti il 10% del consumo totale di benzina e gasolio nel settore dei trasporti e bisognerà risparmiare il 20% del consumo totale di energia. Obiettivi precisi e vincolanti che ogni Paese deve raggiungere entro una data precisa sotto la sorveglianza della Commissione europea.
Dirà il futuro se questo coraggio sarà sufficiente e produrrà gli effetti desiderati, intanto conforta il segnale che viene dall’UE in una stagione di crisi e incertezza che tuttavia non si dissolve ancora: sullo sfondo resta il nodo della futura Costituzione europea, tema che questo Consiglio europeo non ha sollevato o almeno non ha lasciato trasparire nel comunicato finale. Lo sanno tutti: il tema non puಠessere affrontato prima di conoscere il risultato delle elezioni presidenziali francesi a maggio. Il Cancelliere tedesco infatti rilancerà l’argomento solo pochi giorni prima del termine della Presidenza tedesca dell’UE, nel Consiglio europeo di metà giugno: speriamo che in quella occasione l’Unione europea sappia trovare almeno la stessa «energia» di cui ha dato prova nel Consiglio europeo di primavera.