Elezioni presidenziali in Egitto tra passato e futuro

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Dopo le elezioni legislative dello scorso gennaio,  l’Egitto è tornato alle urne, il 23 e 24 maggio scorsi, per eleggere il suo Presidente. Un’elezione attesa e considerata di portata storica dopo la deposizione di Hosni Mubarak nel febbraio 2011. Storica perché, sulla scia della Primavera araba e per la prima volta, queste elezioni si sarebbero svolte  all’insegna della libertà, della trasparenza e della democrazia.

I risultati del primo turno elettorale, che ha visto concorrere 11 candidati, riflettono tuttavia tutte le turbolenze e le contraddizioni vissute negli ultimi  15 mesi di  transizione verso un nuovo Egitto. Una transizione che stenta evidentemente a dotare il Paese di un profilo chiaro e di unità ed è ancora pericolosamente incerta fra forze che tirano verso un ritorno al passato, altre, rappresentate soprattutto dai protagonisti della rivoluzione, che vorrebbero un salto nel futuro ed altre ancora che spingono verso un islamismo che lotta fra il moderato e il radicale.  I risultati porteranno infatti  al ballottaggio dei prossimi 16 e 17 giugno due personalità alle quali i sondaggi e i media avevano attribuito posizioni secondarie, creando  cosi’  una certa sorpresa non solo nel Paese ma anche a livello internazionale: Mohamed Morsi (25% dei voti), dei Fratelli Musulmani e Ahmed Shafik (24%), ex Primo Ministro del deposto Mubarak.

Che un candidato dei Fratelli Musulmani avrebbe concorso e sarebbe probabilmente arrivato in testa nella competizione elettorale non è in sé una grande sorpresa, anche se Morsi rappresenta la parte più radicale della Confraternita. Sorprende invece la percentuale dei voti ottenuti da Morsi in confronto alle legislative del gennaio scorso, in cui i Fratelli Musulmani avevano ottenuto un’importante vittoria con il 37% dei voti.  Con solo il 25% alle Presidenziali, la loro perdita di terreno sembra alquanto significativa.  Ahmed Shafik invece rappresenta il potere del passato, la mano di ferro che promette ordine e ritorno alla stabilità, la garanzia per chi è stanco di instabilità politica ed economica. Un primo e un secondo posto quindi per due candidati che si erano tenuti ben lontani dal partecipare alla Rivoluzione.

Varie sono le ragioni che si nascondono nelle pieghe della sorpresa sollevata da un tale risultato, che non ha mancato di creare, nei confronti del candidato Shafik in particolare, accuse di brogli elettorali e nuove manifestazioni di protesta in Piazza Tahir.  In primo luogo, la frammentazione delle percentuali dei voti ottenuti dai vari candidati, e in particolare dei protagonisti o sostenitori della Rivoluzione, sottolinea la loro difficoltà nell’unire forze e a raggiungere compromessi su programmi politici; l’affluenza alle urne è stata molto bassa, circa il 43% della popolazione, un dato che rivela non solo un certo disinteresse rispetto alla sfida elettorale, ma anche un messaggio di protesta nei confronti del processo di transizione. Consegnato in una Road Map redatta dal Consiglio supremo delle Forze Armate, il processo di transizione contiene una inquietante anomalia: l’elezione del Presidente prima della scrittura della Costituzione. Ciò significa votare ed eleggere un Presidente senza conoscere i suoi futuri e reali poteri.

Inizia ora la campagna elettorale per il secondo turno, una campagna che sembra mettere gli Egiziani di fronte ad un grande dilemma, fra la scelta di un islamismo radicale e un ritorno brutale al passato. Una cosa sembra tuttavia molto prevedibile fin da ora: la vittoria di Shafik rischierebbe di rilanciare una seconda Rivoluzione, con tutte le conseguenze che ciò comporta non solo per l’Egitto, ma per l’intera regione.

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