E adesso occhi puntati sul Parlamento europeo

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Gli esercizi di democrazia ai quali siamo stati chiamati da un mese a questa parte non sono finiti ed è giusto così, se intendiamo la democrazia come un esercizio permanente del cittadino a protezione della sua libertà di giudizio.

L’Europa viene da un calendario fitto di consultazioni elettorali: a inizio giugno con le elezioni per il Parlamento europeo, per molti italiani anche quelle per importanti Enti locali; a inizio luglio con due elezioni politiche nazionali di grande importanza: il 4 luglio nel Regno Unito e il 7 luglio il secondo turno delle elezioni legislative in Francia, con risultati da non sottovalutare per il futuro dell’Europa. 

Ma non è ancora tempo di vacanze per l’Unione Europea, dove il 18 luglio il Parlamento di Strasburgo valutamla candidatura di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea per un secondo mandato nella legislatura 2024-2029. Resta questa la poltrona ancora contendibile nell’UE, mentre restano assegnate quella di presidente del Consiglio europeo con il socialista portoghese Antonio Costa, quella di Alto rappresentante per la politica estera per la liberale estone, Kaja Kallas e la presidenza del Parlamento alla maltese Roberta Metsola, già convenuta prima che l’Assemblea si esprima, e scadrà solo nel 2027 il mandato di Christine Lagarde alla presidenza della Banca centrale europea.

Non induca questa mappa a considerare ormai chiusi i giochi, molto resta ancora da fare per le future responsabilità alla testa della Commissione europea, non solo per la presidenza, ma anche per gli altri 26 componenti del collegio, con una particolare attenzione alla nomina del futuro Commissario italiano.

Ma andiamo con ordine, cominciando dalla poltrona-chiave, quella della presidenza della Commissione europea, alla guida di un’Istituzione che ha un ruolo rilevante in quanto esclusiva detentrice del potere di iniziativa cui si aggiungono i poteri di gestione e di controllo: allo stato attuale, una sorta di governo dell’Unione, sotto l’impulso del Consiglio europeo e il controllo del Parlamento europeo. 

Ursula von der Leyen è stata proposta alla presidenza della Commissione con una decisione a maggioranza del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo e con l’astensione di Giorgia Meloni. La posizione italiana, isolata nel concerto europeo,  lascia in sospeso, con il voto parlamentare in favore della candidata presidente da parte del Gruppo dei conservatori, guidato da Meloni, anche l’affidamento del portafoglio italiano in seno alla Commissione rivendicato dall’Italia tra quelli più importanti, se non addirittura accompagnato da una vice-presidenza effettiva della stessa Commissione, sempre che l’area meloniana disponga di profili credibili. 

Come si vede uno scambio politico non esente da prezzi da pagare: da una parte uno schieramento, anche non ufficiale, di Meloni con l’attuale maggioranza, rompendo il fronte con le altre destre; dall’altra la prospettiva di un’ulteriore curvatura a destra della maggioranza che potrebbe far perdere a Ursula von der Leyen voti dei socialisti e dei liberali, oltre che quelli disponibili da parte dei Verdi.

Il voto del 18 luglio potrebbe giocarsi su numeri molto risicati, come già avvenne nel 2019 quando Ursula von der Leyen la spuntò per appena 9 voti, con un Parlamento meno frammentato dell’attuale.

Comunque vada, tutto questo conferma la fragilità della maggioranza “europeista” uscita dalle elezioni e annuncia una legislatura che rischia di dover navigare a vista, cercando di volta in volta “maggioranze fluide”, come già avveniva in parte in passato. Non proprio di buon augurio per affrontare le sfide in campo, tanto in casa dove Orban sta piegando la presidenza semestrale ungherese dell’UE alle sue mire personali, ma anche oltre confine con le guerre che proseguono, le alleanze che si profilano tra Cina, Russia, e anche India, e l’incubo delle elezioni USA a novembre. 

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