Capita spesso in politica, e non solo, che quando un dito indica la luna, qualcuno si fermi a guardare il dito, trascurando la luna. Nell’Unione Europea, in questo nervoso mese di settembre, potrebbe capitare qualcosa del genere tra due protagonisti politici italiani, succedutesi alla Presidenza del Consiglio: Mario Draghi e Giorgia Meloni. Ne sarà occasione la ripresa dell’attività comunitaria, con Draghi atteso con il suo “Piano competitività UE” e Meloni alle prese con un difficile dialogo con Bruxelles, dopo le chiusure praticate all’indomani del voto europeo. Con il rischio che il primo insista a voler guardare la luna, quella delle future strategie UE, e la seconda, il dito delle tattiche per tornare in gioco e, in un contesto di alleanze politiche ambigue, far contare l’Italia al tavolo di Bruxelles. Alcide De Gasperi avrebbe chiamato “statista” chi guarda alla luna, “politico” chi s’accontenta del dito, preoccupato della prossima scadenza elettorale.
La strategia UE annunciata nel “Piano competitività” di Draghi era atteso all’indomani delle elezioni europee, ma qui sono intervenute le tattiche dei politici di Bruxelles, Von der Leyen in testa, per proteggersi da un confronto imbarazzante con successivi rinvii, con la speranza però che arrivi in tempo per contribuire alla futura agenda della nuova Commissione, attesa prossimamente.
Le numerose, e non casuali anticipazioni del documento di Draghi, non avevano mancato di suscitare molto interesse e qualche sorpresa, per i livelli di ambizione contenuti nella bozza di proposte, tanto a livello di politiche economiche che di riforme istituzionali. Questo al punto da far pensare a qualcuno che l’ex presidente della Banca centrale europea, diventato “federalista”, volesse la luna della “sovranità europea” da 27 governanti nazionali UE gelosi, chi più e chi meno, della loro residua sovranità.
Si tratta di un obiettivo che obbliga l’UE a cambiare passo, rafforzando la cooperazione interna per affrontare in migliori condizioni la competizione verso l’esterno, alleati e avversari, dotandosi di strumenti finanziari proporzionati all’impresa e concentrandosi su alcune politiche in particolare, come la difesa, l’energia e la fiscalità, promuovendo insieme innovazione e protezione dei diritti sociali.
Purtroppo queste non sono le priorità che sembra avere in mente il governo italiano in questa stagione di contrastanti interlocuzioni con Bruxelles, dove prevalgono interessi nazionali di breve periodo o esigenze di visibilità nelle Istituzioni UE, come nel caso del candidato commissario italiano per il quale si esige un portafoglio importante di natura finanziaria-economica, rafforzato dall’affidamento di una vice-presidenza esecutiva. Obiettivi elettoralmente importanti, ma poco più di un dito in confronto della luna, il futuro del progetto europeo, che sicuramente non fanno l’unanimità nella maggioranza di governo, dove le divisioni sulle politiche europee sono profonde, dalle concessioni balneari al Meccanismo europeo di stabilità (MES), dal diritto di cittadinanza per gli stranieri agli equilibri finanziari da assicurare nella futura legge di bilancio fino alla politica estera, protetta da un alone di nebbia in attesa dell’esito delle elezioni presidenziali americane.
In questo contesto è comprensibile che, per le sue rivendicazioni di ruolo politico nella futura Commissione europea, vengano invocate a Roma le dimensioni, demografiche ed economiche, dell’Italia come Paese fondatore dell’Unione.
Forse è il solo argomento di un qualche peso, speriamo possa funzionare.