Le relazioni diplomatiche fra Stati Uniti e Iran si erano interrotte nel lontano 1980, con il rilascio di ostaggi sequestrati per più di 400 giorni nell’Ambasciata USA di Teheran. E’ stato l’evento che più ha condizionato i rapporti tra Stati Uniti e Iran, iniziato pochi mesi dopo la Rivoluzione islamica guidata dall’ayatollah Khomeini nel 1979.
Da allora il rapporto USA – Iran è diventato una vera e propria sfida e oggetto di continuo conflitto che dura ancora, un rapporto inoltre intimamente legato oggi alle relazioni fra Israele e Iran e alla guerra in corso in Medio Oriente.
E’ infatti con breve anticipo e con una certa sorpresa diplomatica che il Presidente Trump, ha annunciato, non senza ricorrere alle solite minacce di attacchi con la forza nel caso in cui non si raggiungesse un accordo, la tenuta di un dialogo con Teheran, dialogo “indiretto” attraverso la mediazione dell’Oman, per lo smantellamento del programma nucleare iraniano.
Da ricordare al riguardo, che un primo accordo internazionale sul nucleare iraniano era stato raggiunto nel 2015 fra Teheran e USA, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania (JCPOA – Piano d’azione globale congiunto), accordo dal quale Trump, durante il suo primo mandato, nel 2018, è uscito, annunciando, con i suoi toni abituali e minacciosi, la reintroduzione di sanzioni economiche, precedentemente negoziate e sospese grazie allo stesso accordo.
Una decisione che aveva ovviamente messo in grande difficoltà e suscitato grave disappunto fra gli altri Paesi firmatari dell’accordo, in particolare l’Unione Europea che, con le parole dell’allora Alto Rappresentante UE per la politica estera Federica Mogherini, riteneva tale accordo “il culmine di 12 anni di diplomazia. Appartiene all’intera comunità internazionale. Ha lavorato e sta raggiungendo il suo obiettivo, ovvero garantire che l’Iran non sviluppi armi nucleari. L’Unione Europea è determinata a preservarlo. Ci aspettiamo che il resto della comunità internazionale continui a fare la sua parte per garantirne la piena attuazione, per il bene della nostra sicurezza collettiva”.
Benché gli altri Paesi firmatari abbiano espresso la volontà di proseguire il loro impegno con Teheran, con l’uscita degli Stati Uniti nel 2018, l’Accordo ha perso senso e molto è cambiato geopoliticamente nella regione. L’Iran, infatti, ha continuato ad arricchire uranio e a dotarsi delle capacità di costruire ordigni nucleari, esasperando il confronto regionale con Israele e gli Stati Uniti, che considerano infatti l’Iran il loro principale nemico.
Resta il fatto che l’accordo del 2015 scadrà alla fine di quest’anno e il suo rinnovo è carico di sfide. Per il momento l’incontro in Oman è solo un primo inizio per inquadrare un possibile accordo fra le due parti, USA e Iran, e constatare che sia un accordo possibile, tenendo conto tuttavia della situazione di debolezza in cui è precipitato Teheran con la guerra a Gaza e con l’indebolimento dei suoi alleati dell’Asse della Resistenza. Non solo, ma tenendo conto inoltre, da una parte, della riduzione della capacità di deterrenza di Teheran e dall’altra del sostegno dichiarato di Trump ad Israele per un attacco all’Iran. Senza dimenticare che l’Iran è ulteriormente indebolito dagli effetti delle sanzioni occidentali sulla sua economia, una delle principali ragioni che hanno spinto Teheran a sedersi al tavolo dei negoziati con gli USA.
Sarà tuttavia un accordo bilaterale, senza, in particolare, la partecipazione dell’Unione Europea, anche se quest’ultima è stata parte importante del precedete accordo.