Democrazia europea: bella e impossibile?

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Siamo vissuti finora nella convinzione che Churchill avesse ragione quando disse che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”. Adesso, travolti dalla crisi dell’epidemia del coronavirus”, qualcuno comincia ad avere dei dubbi, magari guardando all’efficacia della forma di “non democrazia” sperimentata in Cina.

Il tema merita riflessione, se non altro perché democrazia è un progetto complesso, ancora mai realizzato compiutamente, talvolta avvolto nelle nebbie del mito (come nel caso dell’antica democrazia greca) e costantemente messo a rischio da derive autoritarie, se non peggio.

Si registra in questi giorni molta incertezza nell’opinione pubblica del nostro Paese per le misure adottate dal governo nazionale, le prese di posizione delle istituzioni regionali e la pretesa assenza di misure europee.

Per uscirne è buona regola, per cominciare, quella di chiarire in democrazia  le responsabilità dei diversi livelli di governo prima di accusare l’uno o l’altro di inadempienze. Nel caso del coronavirus l’articolazione dei poteri è complessa: al governo centrale quello di decidere le strategie coordinate per l’intero territorio nazionale, alle Regioni il compito di gestire le misure deliberate a livello nazionale nei rispettivi territori avvalendosi delle risorse a loro disposizione e, al livello europeo, che in materia di sanità non ha una competenza specifica, promuovere azioni di coordinamento nella prevenzione (quando non è troppo tardi), nel sostegno alla ricerca scientifica e a interventi finanziari di urgenza, nei limiti della dotazione di bilancio disponibile. A livello macroeconomico, compete poi al “governo” comunitario vegliare agli equilibri della finanza pubblica per la sostenibilità complessiva dell’economia europea.

Siamo di fronte a una articolazione di poteri messa a dura prova da un’emergenza  straordinaria come quella che viviamo, con ripetute denunce di conflitti di competenze e tentazioni di rimpallare le responsabilità da un livello all’altro. Non è una ragione sufficiente per “buttare il bambino con l’acqua sporca” e questo almeno per due buone ragioni: la prima, che quanto sperimentato in altre forme di governo non sembra dia globalmente risultati migliori; la seconda, che la nostra vita democratica ha sicuramente ampi margini di miglioramento sia ritrovando i suoi valori fondativi e sia adattandola a novità originariamente non prevedibili.

Un valore fondamentale da ritrovare è sicuramente quello della centralità della persona e del cittadino, protagonista decisivo di una buona democrazia che più funziona quanto più ha una dimensione partecipativa, non rassegnata a deleghe senza controllo, utili solo a procurarsi alibi nei confronti della classe politica, qualunque cosa essa faccia.

La seconda pista da battere è quella di “aggiornare” la nostra vita democratica all’evoluzione della società, riconoscendone la crescente complessità e l’esigenza di organizzare il processo decisionale in senso ascendente, partendo dalla responsabilità primaria del cittadino per risalire a quella degli enti locali ad esso più vicini, passando al livello nazionale per orientare le politiche generali fino ad approdare al livello europeo per quelle politiche che non possono esaurirsi entro i confini nazionali ma necessitano di un coordinamento sovranazionale, al prezzo di più ampie limitazioni di sovranità nazionali, le stesse che oggi qualcuno vorrebbe invece ampliare alzando nuovi muri.

Da questo punto di vista il coronavirus è un rinnovato appello a “più Europa”, dotata di maggiori responsabilità e adeguate risorse: tali che si possa legittimamente esigere da essa interventi di maggiore efficacia che non quelli locali o nazionali. Esito possibile se si rivede l’intero assetto istituzionale dell’Unione, con  cittadini attivi che si riconoscono nei poteri di un vero Parlamento europeo e di un autentico governo comunitario. Come dovrebbe essere in una democrazia europea più compiuta dell’attuale.

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