Dal voto tedesco un viatico per l’Unione Europea

11

Le nostre democrazie hanno questo di bello: di sottoporre alla verifica dei suoi cittadini, con periodiche elezioni, l’operato dei loro governi e decidere eventuali alternanze alla guida del loro Paese. Bello, ma non così semplice e anche faticoso.

Non è semplice una democrazia che, vissuta diversamente e con scadenze elettorali non convergenti nei diversi Paesi dove ancora opera, innesca dinamiche che vanno ben al di là del recinto della cosiddetta “Nazione”, impattando nella vita democratica di altri Paesi presunti “sovrani” con conseguenze spesso molto rilevanti.

Lo stiamo constatando ogni giorno di fronte allo tsunami provocato in Occidente dalle elezioni americane con l’irruzione dell’apprendista autocrate Donald Trump, che non siamo stati chiamati a votare ma che di quel voto stiamo patendo gli effetti perversi, non solo per il futuro dell’Ucraina, tradita da un alleato non affidabile, ma anche per le politiche dei Paesi UE oggi tutte sotto tensione, come bene si vede anche in Italia.

Qualcosa del genere, anche se in misura minore, lo viviamo anche nello spazio più ridotto dell’Unione Europea dove le elezioni nazionali riversano i loro effetti sui suoi Paesi membri, come è accaduto lo scorso 23 febbraio in Germania, un tradizionale attore-chiave nella costruzione comunitaria, con le elezioni legislative che, non caso, hanno avuto una straordinaria partecipazione al voto dell’84% degli aventi diritto, un risultato incoraggiante per il futuro della democrazia.

Reduce da una difficile stagione politica ed economica, la Germania è andata al voto con l’incubo dell’attesa avanzata dell’estrema destra filo-russa, con nostalgie post-naziste,  consegnando all’UE un Paese in precaria salute, frammentato politicamente e in una condizione di stagnazione economica.

Adesso non sarà facile rimettere insieme i cocci rotti della coalizione litigiosa guidata dal cancelliere socialista senza carisma Olaf Scholz, punito severamente dal voto, e toccherà al leader conservatore Friederich Merz, protagonista di una vittoria contenuta rispetto alle attese e probabile futuro cancelliere, trovare una quadra con i socialdemocratici in tempi ravvicinati e tentare poi di ristabilire un’intesa con la Francia di Emmanuel Macron, con il quale allargare un’alleanza europea in grado di rispondere alle aggressioni di Trump e Musk, sponsor dell’estrema destra. 

Gli incontri di Parigi, promossi meritevolmente da Macron la settimana scorsa, hanno già disegnato il provvisorio perimetro di una possibile avanguardia europea composta, insieme con Francia e Germania, da Polonia, Spagna, Olanda, Danimarca e, forse, l’ancora ambigua Italia, in un gruppo nel quale si sta aggregando, sul versante della sicurezza e della difesa, anche il Regno Unito.

Tutti questi Paesi UE avvertono l’incombere del doppio attacco russo e americano, ma hanno storie diverse nei loro legami trans-atlantici, che vedono incrinarsi di giorno in giorno, e hanno visioni e interessi in difficoltà a saldarsi insieme in un avvio di politica estera comune, senza la quale non può esistere difesa comune. 

E qui, questo laboratorio europeo di una “democrazia fra le nazioni” si fa faticoso, chiamato ad un’accelerazione che deve però fare i conti con le opinioni pubbliche nazionali che forse non hanno ancora percepito adeguatamente il pericolo che incombe per la vita quotidiana dei cittadini europei.

Non mancano voci autorevoli che chiamano all’azione, come ancora l’accorato appello la settimana scorsa Mario Draghi davanti al Parlamento europeo, chiaramente irritato per il tempo che le Istituzioni UE stanno impiegando a rispondere e con un pensiero ai no della riluttante Germania, adesso forse in progressiva attenuazione. 

Le prime affermazioni del candidato cancelliere lasciano ben sperare, anche in considerazione della distanza che sta prendendo dalla brutalità degli Usa, che lo hanno contrastato sponsorizzando l’estrema destra: per la prima volta abbiamo sentito da un leader tedesco parlare di “indipendenza” per la difesa europea, molto di più della “autonomia strategica” di cui si è chiaccherato inutilmente fino ad ora, come non sono da sottovalutare le aperture in materia di finanze pubbliche UE, debito comune compreso. 

Potrebbe anche essere un’occasione per l’Italia di inserirsi nei giochi delle nuove alleanze, a patto che il nostro governo stia  chiaramente dalla parte dell’Europa e con ben altra credibilità che non quella di cui gode oggi nell’UE Giorgia Meloni, certo non rafforzata dagli interessati elogi del suo  estimatore Trump davanti a Macron lunedì a Washington. 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here