Europa e Italia al bivio: risanare o affondare

1059

Un vortice di vertici, in questi giorni presso le Istituzioni UE e in Italia.
Prima a Francoforte, l’incontro di Merkel e Sarkozy in margine al passaggio di consegne alla presidenza della Banca Centrale Europea (BCE), poi l’incontro a Bruxelles tra i 17 ministri dell’Economia dell’eurogruppo seguito da quello dei 27 al completo, a riprova che dal salvataggio dell’euro dipende la sopravvivenza dell’UE tutt’intera.
Altri vertici hanno ancora agitato l’immediata vigilia del Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo del 23 ottobre e nei giorni seguenti: di nuovo concitate consultazioni del duo Merkel-Sarkozy, a seguire i ministri dell’ Economia e degli Affari esteri.
Al primo tentativo il Consiglio Europeo non ha raggiunto un accordo formale e si è riconvocato il mercoledì successivo per adottare misure ufficiali di contrasto della crisi finanziaria per spegnere l’incendio greco e evitare il contagio della bancarotta a Paesi sull’orlo del baratro, come l’Italia e la Spagna.
Per tutta questa agitazione almeno tre ragioni.
La prima risiede naturalmente nella gravità   della situazione finanziaria ed economica dell’UE e non solo a causa dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna): anche la Francia tanto bene non sta con le sue banche in difficoltà  , cosa che finalmente sembra aver capito anche Merkel per la Germania, considerazioni che hanno spinto il duo a prendere iniziative solitarie, non senza qualche arroganza e fuori dalle corrette procedure comunitarie.
Sul tavolo hanno preso forma il rafforzamento fino a 1.000 miliardi di euro del Fondo salva-Stati (EFSF), la ricapitalizzazione delle banche (una decina in Italia) che dovranno rinunciare al 50% del valore dei bond greci, una stretta alle regole per il governo economico dell’UE affidandone per ora la gestione al presidente permanente del Consiglio Europeo e la richiesta di misure concrete e immediate per il rientro dal debito pubblico, in particolare per quanto riguarda l’Italia.
La seconda ragione di tanto nervosismo e del rinvio della decisione formale risiedeva nella resistenza di Merkel a rendere permanente lo strumento del salvataggio finanziario e nel bisogno di ricevere un ampio mandato negoziale da parte del suo Parlamento, come le è stato imposto dalla Corte costituzionale tedesca, accordo ottenuto con una larghissima maggioranza, opposizioni comprese.
La terza ragione di tanta agitazione sta in una scadenza ormai imminente: il 3 novembre si riunirà   il G-20, il gruppo dei 20 Paesi più sviluppati del mondo. La riunione si terrà   a Cannes che, da capitale del cinema, si trasformerà   per l’occasione nella capitale mondiale dello spettacolo dei Grandi del mondo riuniti al capezzale della più grave crisi economica moderna, dopo quella drammatica del 1929. Da quella riunione, forse più che da quelle dei due Consigli Europei successivi, dipenderà   il contributo internazionale alla salvezza dell’euro, il futuro dell’economia mondiale e della nostra vita quotidiana.
Di qui una prima lezione: quella sul declino dell’Europa, politicamente fragile, senza un governo coeso della propria economia e poco rilevante su quella scena mondiale che un tempo lontano orientava e dalla quale ormai dipende. USA, Cina, India, Russia, Brasile e altri verranno a Cannes a chiederle conto dei suoi comportamenti e delle decisioni che prenderà   per sà©, ma anche per la buona salute del resto del mondo.
Una seconda lezione riguarda direttamente l’Italia, il suo presidente del Consiglio, il vero «convitato di pietra» e grande imputato dinanzi al «tribunale» di Bruxelles, penosamente ridicolizzato domenica scorsa da Merkel e Sarkozy davanti alla stampa internazionale, inadempiente rispetto alle misure richieste dalla BCE e in grave ritardo a promuovere politiche per la crescita.
Dopo Bruxelles altri vertici non meno tempestosi si sono succeduti a Roma, rivelatori della debolezza della maggioranza e del suo disperato tentativo di tenere in vita un governo in coma da tempo. Nelle poche ore a disposizione si è cercato di fare – male – quello che si sarebbe dovuto fare – meglio – già   da molto tempo.
Da un governo in affanno è uscita una fragile intesa, tradotta in una «lettera di intenti» che promette impegni e calendari di realizzazione accolti con non poche perplessità  . Una lettera che risponde, tardivamente, a quella del 5 agosto scorso della BCE: promette leggeri ritocchi alle pensioni, licenziamenti più facili, mobilità   nel pubblico impiego, dismissione graduale di immobili pubblici, soppressione delle Province e un’accelerazione delle liberalizzazioni.
La lettera, incassata con riserve dal Consiglio Europeo, innesca adesso una sorveglianza stretta dell’Italia, non lontana da quella già   in corso in Grecia, Paese al quale adesso assomigliamo ancora di più, avviati come siamo verso un lungo e doloroso percorso di risanamento finanziario. Su questa strada il vero ostacolo è l’immagine logorata dell’Italia, la sua caduta di credibilità   e l’inaffidabilità   di chi guida il governo. Ma non solo: pesa anche la difficoltà   dell’opposizione a offrire un’alternativa solida e non aiuta nemmeno la cecità   di troppi italiani che continuano a non voler vedere i disastri di cui sono vittime.
Sono in molti adesso a guardare all’Italia come a un appestato da tenere in quarantena. Lo riassumeva bene nei giorni scorsi una fonte diplomatica europea: «I tedeschi non vogliono pagare per la Spagna e l’Italia. Ma siamo legati in una cordata guidata dalla Germania. Dietro, l’Italia, pesante e maldestra. Se cade, cadiamo tutti, compresa la Germania, anche se lei cadrà   per ultima».
Due Italie erano presenti in Belgio il 26 ottobre: a Bruxelles, un governo screditato davanti al Consiglio Europeo; al Collegio europeo di Bruges il Presidente Napolitano, convinto europeista e stimato garante dell’Italia che fondಠla Comunità   Europea
A sessant’anni dalla sua nascita l’UE è davanti ad un bivio decisivo: fare un balzo verso una più forte solidarietà   politica o rassegnarsi al declino. Davanti allo stesso bivio anche quello che resta del nostro governo, a 150 anni dall’unità   d’Italia: ritrovare la dignità   di una nuova politica o contribuire ad affondare, con l’Europa, anche la comunità   nazionale.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here