Corte di Giustizia dell’Unione: illegittima la legge ungherese sul finanziamento estero delle realtà associative

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Rilevate numerose violazioni del diritto dell’Unione nella legge ungherese “sulla trasparenza”

Con la sentenza C-78/18, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata contro il governo ungherese accogliendo il ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione europea in relazione alla “legge sulla trasparenza” approvata da Budapest nel 2017.

La legge ungherese aveva introdotto obblighi di registrazione per le organizzazioni civili che ricevono donazioni da Paesi terzi superiori ai 1.400 Euro circa, prevedendo altresì l’obbligo di indicare nominativi dei donanti e relativi importi, nonché di segnalare sulla homepage dei loro portali e su tutte le pubblicazioni la qualifica di «organizzazione che riceve sostegno dall’estero». La Commissione europea aveva pertanto presentato ricorso alla CGUE ritenendo che la disposizione ungherese violasse sia il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La CGUE ha accolto i rilievi della Commissione, evidenziando violazioni su molteplici livelli da parte della normativa ungherese: in primo luogo, le donazioni in oggetto rientrano nella nozione di “movimenti di capitali” disciplinata dall’art.63 del TFUE e, pertanto, non possono essere sottoposte a misure discriminatorie rispetto a movimenti di capitali nazionali, idonee, come nel caso in questione, a dissuadere l’erogazione di eventuali contributi provenienti da Paesi terzi; l’obbligo di registrazione e quello di inserimento della dicitura relativa al sostegno ricevuto, sono inoltre potenzialmente forieri di un clima di diffidenza e stigmatizzazione nei confronti delle organizzazioni beneficiarie.

In secondo luogo, pur concordando sul fatto che alcune organizzazioni della società civile possano significativamente influenzare la vita ed il dibattito pubblico, e rilevando che l’obiettivo dichiarato di aumentare i livelli di trasparenza in merito alle fonti di finanziamento di tali organizzazioni possa effettivamente costituire una ragione di interesse generale idonea a giustificare deroghe, la CGUE non ha ritenuto la normativa in questione idonea al raggiungimento di tale obiettivo, in ragione della sua applicazione indiscriminata a qualunque soggetto destinatario di finanziamento estero. 

La CGUE non ha inoltre ritenuto sussistenti gli invocati motivi di ordine pubblico e di sicurezza pubblica – lotta al riciclaggio, finanziamenti di attività terroristiche o criminali -, ritenendo che l’Ungheria non abbia concretamente provato l’esistenza di una minaccia attuale e reale.

Infine, la Corte ha ritenuto ingiustificate le restrizioni ai diritti tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Nello specifico, la CGUE ha rilevato come le misure previste dalla normativa ungherese, rendendo ingiustificatamente complesso il funzionamento delle realtà associative, costituiscano una violazione del diritto alla libertà di associazione; gli obblighi di pubblicità introdotti, in secondo luogo, implicano una ingiustificata ingerenza nella vita delle persone, violando il diritto al rispetto della vita privata e familiare; infine, il previsto trattamento delle informazioni relative alle donazioni non rispetta i requisiti di lealtà previsti dal diritto alla protezione dei dati di carattere personale.

Per approfondire: la sentenza della CGUE

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