Coraggio Europa e attenta a “quei due”!

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Così, al Consiglio europeo di Bruxelles, è andata proprio come previsto, forse anche un po’ peggio. Non tanto per le conclusioni, nella sostanza già   anticipate alla vigilia. Piuttosto nel modo in cui sono state raggiunte e per alcune inquietanti chiusure dei soliti noti, Polonia e Gran Bretagna in particolare.
Non particolarmente nuovo l’atteggiamento di Blair, forse più sorprendente la dichiarazione di Prodi che, un po’ tardivamente, lo ha definito “il capo dei frenatori”. Forse non poteva dirlo troppo forte prima quand’era Presidente della Commissione, memore che proprio Blair fu il suo primo grande elettore a quell’incarico, ma Prodi si è anche riscattato rilevando con chiarezza i diversi progetti che si profilano attorno al tavolo del Consiglio europeo e riaffermando la prospettiva di un’Europa a più velocità  . Anche perchà© limitarsi a dire di Blair – ma probabilmente varrà   ancora di più per il suo successore Gordon Brown – che nell’Ue è stato un frenatore significherebbe scambiarlo con la Thatcher e non cogliere appieno la strategia britannica nell’UE allargata dove Blair piuttosto che logorarsi a tirare il freno ha preferito, in buona parte riuscendovi, impugnare il timone e deviare quanto più possibile l’UE dalla sua già   difficile traiettoria verso l’integrazione politica. Lo dimostra, tra l’altro, la sua resistenza alla creazione di un ministro degli esteri, all’estensione del voto a maggioranza su materie sensibili come il fisco e la giustizia e, sconcertante per la cultura di sinistra cui pure si richiama, il rifiuto di accettare per la Gran Bretagna il valore vincolante alla Carta dei diritti fondamentali.
Più sorprendente – ma anche qui fino ad un certo punto – l’atteggiamento della Polonia, da poco arrivata nell’UE dalla quale ha incassato risorse non indifferenti e della quale continuerà   ad avere un gran bisogno negli anni a venire. A Bruxelles era presente uno solo dei due terribili gemelli Kaczynski al potere a Varsavia ma l’effetto dirompente è stato grande, anche se diviso per due. Non solo per il rifiuto fino all’ultimo del meccanismo di voto che prevede che la maggioranza sia acquisita con l’accordo del 55% degli Stati e il 65% della popolazione: un qualche pretesto la Polonia lo poteva esibire visto il peso che avrebbe perso nel Consiglio al momento della decisione rispetto a quanto, del tutto immeritatamente, aveva ottenuto con l’infelice Trattato di Nizza. Questo stesso ragionamento valeva perಠanche per la Spagna meno rigida in nome della solidarietà   europea. La gravità   della resistenza era nell’intenzione di formare con altri paesi poco europeisti, Gran Bretagna in testa, minoranze di blocco in grado di reintrodurre un meccanismo di veto all’interno del già   limitato voto a maggioranza. Più ancora pesanti ed inquietanti gli argomenti ripescati da una stagione bellica non del tutto superata: al netto delle perdite subite con l’aggressione nazista la Polonia avrebbe oggi – secondo le stime del suo “presidente demografo”- almeno 66 milioni di abitanti. Con tutto rispetto, vengono in mente casi nostrani, ma fortunatamente più circoscritti, dove entrano nel computo elettorale anche i defunti, cosa francamente sì triste ma non seria.
Alla fine il compromesso, dopo qualche drammatizzazione notturna, è stato raggiunto: il nuovo meccanismo di voto entrerà   pienamente in vigore solo nel 2017, imponendo all’UE un’ulteriore grande pazienza. Ma resta e si aggrava in Europa il “problema polacco”: un Paese che forse non ha ancora capito bene che cosa sia l’Unione e i suoi valori, che per proteggersi da Mosca corre a Washington senza passare per Bruxelles, UE e NATO compresi, come ha dimostrato con il progetto di installazione di missili voluto da Bush e che impone discutibili esami di democrazia ai suoi uomini migliori, come nel caso dell’europarlamentare ed ex-ministro degli esteri Geremek. Al “problema polacco” sarà   bene adesso prestare maggiore attenzione e a “quei due” in particolare che da piccoli interpretarono un film dal titolo “I due che rubarono la luna” e che, se continuano così, faranno di tutto per rubarci l’Europa.
Alla fine viene da dire che a Bruxelles, con questo genere di protagonisti e coi tempi che corrono, è ancora andata bene: si è evitato una rottura traumatica e il cammino dell’Europa puಠriprendere. Certo senza più Costituzione (ma già   prima non di vera Costituzione si trattava) ma solo con un Trattato emendato, meno ambizioso del progetto costituzionale siglato all’unanimità   – Gran Bretagna e Polonia comprese! – nell’ottobre del 2004 a Roma e comunque con modifiche rilevanti rispetto all’attuale inadeguato Trattato di Nizza.
A luglio sarà   convocata una Conferenza intergovernativa chiamata, entro la fine dell’anno, ad integrare alcuni progressi rispetto al passato. All’ordine del giorno vi saranno, oltre il nuovo meccanismo di voto, anche l’estensione del voto a maggioranza qualificata, la nuova presidenza non più semestrale del Consiglio europeo, l’estensione della procedura di codecisione per il Parlamento europeo e il valore vincolante della Carta dei diritti, da cui si chiamerà   fuori la Gran Bretagna e altro ancora. Poi riprenderà   la via in salita delle procedure di ratifica. La lenta marcia dell’Europa non è ancora conclusa e avremo tempo – oltre che il dovere – di valutare attentamente progressi e rinunce.
Qualche sorpresa è ancora possibile, improbabile che sia bella.

3 COMMENTI

  1. Posso fare una domanda forse ingenua e superficiale? Due contro 25. Due di portata differente, ma ugualmente insidiosa. Qual è la debolezza degli altri 25? Qual è la coerenza e la determinazione intorno alla costruzione di un’Europa politica degli altri 25 al di là  della facciata e al di qua dei problemi e crisi individuali?
    Maria Cantoni

  2. La costruzione dell’Europa politica continua a essere “impresa ardua” se tutta la materia viene lasciata nelle sole mani degli Stati nazionali sempre più in crisi. Inanto consolidiamo i risultati raggiunti in modo da votare nel 2009 con più consapevolezza.

  3. Almeno duplice è la debolezza dell’UE messa in evidenza dall’ultimo Consiglio europeo: da una parte la debolezza giuridica legata al voto all’unanimità  (e quindi al diritto di veto)di cui gli Stati membri dispongono in caso di approvazione dei Trattati e, dall’altra, quella politica (di cui la prima è espressione) alimentata da un forte ritorno alle identità  nazionali che nulla fanno presagire di buono su questo continente che a questa deriva ha pagato da sempre, e ancora recentemente, prezzi altissimi. Una ragione in più per proseguire nell'”impresa ardua” che è l’Unione europea e nel paziente lavoro di pedagogia (che ad APICE chiamiamo “alfabetizzazione”) per aiutare i cittadini a riprendersi l’Europa e a farla crescere tra le giovani generazioni prima che sia troppo tardi.

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