Consiglio Europeo di Lisbona: una svolta storica aà¢à¢â€š¬à‚¦ 360 gradi

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E adesso diranno tutti (o quasi) in coro che il Consiglio europeo di Lisbona della settimana scorsa segna una data storica nella storia dell’Unione europea. Qualcuno più sfacciato si spingerà   anche a stabilire un azzardato parallelo con Roma, quando cinquant’anni fa venne adottato il Trattato istitutivo della Comunità   europea. E ci sarà   persino chi dirà   che adesso finalmente l’Europa tornerà   a volare verso esaltanti orizzonti.
Spiacenti, anche amareggiati, ma non è proprio il nostro parere.
Intanto perchà© l’ambizione di avviare l’UE verso un percorso costituzionale è stata umiliata dal rifiuto di due Paesi su ventisette, con una maggioranza di questi che avevano dato formalmente il loro assenso. Se vi pare democrazia questa, allora siete fermi ad una obsoleta idea di democrazia, segnata da finte sovranità   nazionali perfettamente ininfluenti nel governo di un mondo globale.
Diranno che l’essenziale del progetto di Trattato costituzionale è stato astutamente trasferito nell’attuale Trattato modificato, una riga qua un paragrafo là   e, hop! la magia è fatta. Non credeteci: è venuto a mancare l’impianto costituzionale, il capitolo centrale della Carta dei diritti è rimasto fuori dal corpo del Trattato, nascosto come una vergogna in un protocollo vincolante, salvo per chi non lo accetta. Una trovata meschina per un’Europa che pretende dire il diritto in giro per il mondo: dopo aver dimenticato quanto lo ha calpestato in passato, adesso diventa prudente anche ad applicarlo a casa propria.
Diranno che è venuta meno solo la dimensione simbolica dei nomi e dei segni di identificazione: se questo vi sembra poco per un’Europa chiamata a far convivere i suoi popoli e ad allontanarli da tentazioni nazionaliste, allora vuol dire che vi sfugge il clima di conflitti nazionali che sta tornando su un continente che in proposito da sempre ha pagato prezzi altissimi.
Diranno che sono cresciute le materie sottoposte al voto a maggioranza: sarebbe una bella notizia se avesse riguardato anche il fisco, la politica estera e quella sociale e la riforma dei Trattati e se non si accompagnasse al ritorno dell’infausto « compromesso di Lussemburgo» che adesso è stato battezzato «di Ioannina», un nome più grazioso ma che non deve ingannare. Non è un caso che lo abbia voluto a tutti i costi il Paese meno europeo d’Europa, quella Polonia che non si dà   pace di dover convivere con gli altri Paesi europei e accettarne le regole democratiche: grazie a quel compromesso potrà   ritardare, e non sarà   la sola a farlo, l’entrata in vigore di decisioni democraticamente adottate e questo non per una breve transizione ma per dieci anni, fino al 2017.
Diranno che adesso c’è una «sorta» di ministro degli esteri europeo solo che per prudenza lo chiamano «Alto rappresentante per la politica estera»: peccato perಠche una politica estera comune nel Trattato non sia autorizzata.
Diranno che l’UE avrà   finalmente un Presidente che per cinque anni potrà   vegliare alla coesione dell’Unione e rappresentarla all’estero: prima di brindare tenete presente che fin da subito Gordon Brown ha avanzato la candidatura a quel posto di Tony Blair, «il miglior candidato possibile».
Magari Sarkozy avrà   addirittura la faccia tosta di ripetere che questo è un Trattato semplificato e leggibile: se avrete la forza di sfogliarlo vi troverete una giungla di articoli, protocolli e dichiarazioni che faranno contenti solo masochisti e giuristi, con tanti auguri per la trasparenza e la democrazia.
E per fare buon peso, al coro si aggiungerà   anche l’Italia per dire che non si è fatta mettere sotto e ha rimediato un seggio in più al Parlamento europeo. In più, senza nulla dire di quelli persi e che per ottenere quel brillante risultato (che comunque la colloca sotto la Francia) si è dovuto far ricorso alla trovata secondo la quale il Presidente non conta e i 751 parlamentari è come se fossero 750à¢à¢â€š¬à‚¦
Più gravido di conseguenze il criterio invocato dall’Italia per far valere i suoi numeri, ricordandosi dei suoi tre milioni di emigrati sparsi nei Paesi dell’UE: il riferimento alla «cittadinanza nazionale» piuttosto che alla «cittadinanza di residenza» sarà   anche utile per aggiustare la contabilità   demografica italiana ma allontana l’orizzonte di una cittadinanza europea e lascia nel limbo politico i 18 milioni di cittadini extracomunitari che di questo passo continueranno ancora a lungo a contare poco.
E se a questo punto vi sembra che il Consiglio di Lisbona abbia segnato una svolta storica, forse avete ragione. Una sorta di svolta a 360° che ci lascia più o meno al punto di prima.

1 COMMENTO

  1. Alle critiche sollevate da Franco Chittolina al nuovo trattato di riforma, aggiungerei una riflessione: quella sul senso del nome attribuito al nuovo testo, che, per l’appunto, non contiene più il termine Costituzione, neppure in evolute perifrasi e giochi di parole.
    Il trattato costituzionale aveva, pur con numerosi limiti, il merito di prestare attenzione al problema delle parole e darne alcune soluzioni. In primo luogo, si presentava sotto forma di testo leggibile e non di emendamenti ai trattati esistenti (il nuovo documento è assolutamente incomprensibile se non si hanno sotto mano i vecchi trattati). È d’altra parte sufficiente aprire i numerosi documenti che compongono il “progetto di trattato di riforma” per capire che la priorità  degli autori non è stata quella di renderlo leggibile al maggior numero possibile di cittadini!alla faccia della tanto declamata trasparenza e del Piano D!
    Al di là  di possibili retoriche, credo che il problema dell’uso delle parole per l’Ue non sia da sottovalutare. È infatti troppo spesso difficile trovare in Europa i termini giusti: si pensi alla difficoltà  di spiegare le differenti tipologie di norme comunitarie o anche solo di definire cos’è l’UE (lo stesso Jacques Delors ne parlava come di un “oggetto politico non identificato”).
    Un problema a prima vista superfluo ma che nasconde una grave mancanza: l’incapacità  di dire, spiegare ciò che facciamo insieme.

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