Nella notte fra il 22 e il 23 giugno i Capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi europei hanno raggiunto un compromesso sul mandato da dare alla Conferenza Intergovernativa che verrà convocata entro luglio sotto presidenza portoghese per negoziare un nuovo trattato in sostituzione dopo la paralisi costituzionale innescata nel 2005 dall’esito negativo dei referendum di ratifica in Francia e Olanda. La Presidenza tedesca ha portato a termine l’arduo compito di far convergere due posizioni distantissime: da una parte i 18 Paesi che, avendo già ratificato la Costituzione, spingevano per mantenere inalterata la sostanza e dall’altra Paesi come Polonia, Regno Unito e Repubblica ceca, spalleggiati da Francia e Olanda, che volevano sottoporre nuovamente a negoziati alcuni dei punti fondamentali del Trattato, come il sistema di voto o il rafforzamento delle competenze dell’Unione in politica estera. L’accordo finale prevede il mantenimento della personalità giuridica dell’Ue, della Presidenza del Consiglio biennale e del rappresentante unico per la politica estera, che perde perಠla qualifica di ministro, in cambio dello slittamento del passaggio alla doppia maggioranza (55% degli Stati membri e 65% della popolazione) al 2017, con una clausola di salvaguardia che permette il diritto di veto in circostanze particolari in applicazione del “compromesso di Ioannina”. La Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, che costituiva la seconda parte della Costituzione, pur essendo fuori dal nuovo Trattato manterrà il proprio valore vincolante per tutti gli Stati europei tranne il Regno Unito, che ha ottenuto la possibilità di opting out.
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