Commissione e Parlamento UE verso una “economia di guerra”

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I documenti “in politichese” dell’Unione Europea, spesso prolissi e non sempre di facile lettura, finiscono per non coinvolgere i cittadini nel necessario dialogo democratico e per accrescere la distanza con le istituzioni, come anche recentemente registrato da una ricerca del “Pew Research Center”, in 24 Paesi “democratici” del mondo, tra i quali i principali Paesi UE. 

Alcuni pochi dati bastano per una fotografia sommaria: il 74% delle persone sondate ritiene che i responsabili politici si disinteressano dei loro elettori (77% in Italia) e il 42% ritiene che nessun partito nel loro Paese li rappresenta (58% in Italia). Un po’ ovunque cala l’apprezzamento di chi ritiene la democrazia rappresentativa un sistema “molto buono”: in Italia dal 29 al 23%, in Germania dal 46 al 37% e in Svezia dal 54 al 41%. Il che aiuta a comprendere la crescita del desiderio di governi tecnici, con l’Italia passata dal 40 al 57%, e l’auspicio del 66% degli italiani per una maggiore partecipazione al potere di personale politico più giovane.

Potrebbe essere letta su questo sfondo anche la Risoluzione del Parlamento europeo del 29 febbraio scorso: un lungo testo di 14 pagine che si apre su una lista di “Considerando” per la quale non sono bastate tutte le 24 lettere dell’alfabeto e da cui risulta – senza dirlo esplicitamente – che l’Unione Europea è coinvolta, a diversi titoli e a fondo, nella guerra in corso in Ucraina, per poi delineare le posizioni politiche del Parlamento approvate a larga maggioranza con 451 voti favorevoli, 46 contrari (tra questi i Cinque stelle) e 49 astensioni.

La Risoluzione del Parlamento europeo sviluppa in 44 paragrafi e una decina di pagine le sue proposte la cui natura non giuridicamente vincolante non è per questo politicamente da sottovalutare e questo per almeno due ragioni.

Da una parte per la rilevanza politica del soggetto politico, solo legittimo rappresentante diretto dei popoli europei qual è il Parlamento, seppure in questa affannata finale di legislatura; dall’altra perché nella sostanza il documento offre un largo sostegno preventivo alle misure annunciate il giorno prima a Strasburgo dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, presentate ufficialmente il 5 marzo scorso. 

La tonalità complessiva della Risoluzione parlamentare, molto argomentata e impossibile da riassumere nello spazio disponibile, evoca incontestabilmente una “economia di guerra”, in risposta all’aggressione russa e al rischio che vengano influenzate le azioni di altri regimi autoritari, senza annunciare iniziative in vista di negoziati di pace. 

In questo quadro la risposta dell’Unione è sviluppata nelle sue varie articolazioni: dalla fornitura di aiuti militari all’Ucraina al rafforzamento della cooperazione militare europea a livello di industria e forze armate; dall’apprezzamento per gli accordi di sicurezza bilaterale tra i Paesi europei, Regno unito compreso, alla richiesta di un “un aumento delle spese mirate, degli appalti e degli investimenti congiunti in ricerca e sviluppo nel settore della difesa” e via seguitando.

Tutto questo giustificato dal fatto che “la guerra di aggressione russa ha modificato radicalmente la geopolitica in Europa e non solo, minacciando la sua architettura di sicurezza e che tale situazione richiede decisioni politiche, di sicurezza e finanziarie audaci, coraggiose e globali da parte dell’UE” (§23).

A questo noi aggiungeremmo la richiesta all’UE di chiamare il riarmo “riarmo”, nel quadro di un’economia di guerra, e di spiegarlo ai suoi disorientati cittadini, ascoltandone le ragioni, i dubbi e i dissensi, aprendo a prospettive di dialogo, perché solo una democrazia partecipativa potrà aiutarci a “vincere la pace”.

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