Ankara o la metafora del potere

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Ha avuto larga diffusione nei media e sui social l’episodio di martedì scorso ad Ankara, in occasione del vertice Unione Europea e Turchia. A rappresentare la prima, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ospiti entrambi del “sultano neo-ottomano” turco Receip Tayyip Erdogan. 

Quanto avvenuto in apertura di riunione è noto: due sedie soltanto previste per l’incontro, imprevisto invece che a rimanere in piedi sia stata proprio la signora mentre i due “signori” si sedevano tranquillamente, come se niente fosse, lasciando che la gentile Ursula si trovasse un divano nei dintorni.

L’episodio è stato oggetto di molti commenti, scherzosi alcuni e altri molto meno. L’incidente non è   solo spiacevole, è anche deprimente e probabilmente non innocente. Anche senza volervi attribuire un’intenzione precisa, invita a riflettere su quello che  Sigmind Freud avrebbe chiamato un “atto mancato”, “una condotta socialmente inadeguata che soddisfa un desiderio inconscio”, gli inglesi lo chiamano “scivolamento”.

Che sia stato uno scivolamento di maleducazione da parte dei due uomini è la prima cosa che viene in mente, ma forse suggerisce anche la traduzione di una metafora del potere. E dei poteri.

Del potere prevaricatore dell’uomo sulla donna, più discreto – o mascherato – nel rappresentante europeo e esibito nel sultano turco, reduce dalla recente decisione di ritirare il suo Paese dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne: normale quindi che i due uomini abbiano occupato le due poltrone disponibili, lasciando in piedi la “signora”, la sola a meritare quell’appellativo.

Ma anche un’altra lettura è possibile e riguarda i rapporti tra i poteri al plurale nell’Unione Europea.

Non dev’essere parso così strano per il presidente del Consiglio europeo lasciare in piedi, imbarazzata, la presidente della Commissione: alla scorrettezza di sapore sessista si aggiungeva la tradizionale arroganza dei governi nazionali nei confronti della Commissione, un’Istituzione considerata subalterna, da anni ridotta a una specie di “segretariato” dei Capi di Stato e di governo, normale quindi trattare la signora Ursula come una “segretaria” cui affidare compiti da eseguire.

Non così i Padri fondatori avevano disegnato i rapporti di poteri tra le Istituzioni europee quando alla Commissione affidarono il compito di  “motore dell’integrazione”, con un esclusivo potere di iniziativa, non concesso nemmeno al Parlamento,  di gestore delle politiche e del bilancio e di controllore del rispetto delle normative comunitarie. In quel disegno, purtroppo depotenziato nel corso degli anni, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo non trovò posto, inventato solo più tardi per controbilanciare i poteri in evoluzione del Parlamento europeo.

Può sembrare molto astratto tutto questo, invece è attualità concreta di questi giorni nei quali, non a caso, la Commissione europea e la sua presidente Ursula von der Leyen, sono diventate il “capro espiatorio” nella guerra dei vaccini, quando le responsabilità dovrebbero almeno essere distribuite equamente tra il concerto stonato dei governi nazionali e l’inadeguatezza tecnica della Commissione, chiamata a un compito straordinario in una congiuntura straordinaria, con i mezzi ordinari di cui dispone, al punto di non aver un potere su cui appoggiarsi, un “protagonista” rimasto senza sedia.

Altro di molto più severo si potrebbe dire di Erdogan, ma già quello che capita in casa nostra basta e avanza per chiedersi chi porta la responsabilità di che cosa: una semplice regola fondamentale della vita democratica europea, speriamo in migliore salute di quella turca.

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