A Bruxelles corsa a ostacoli per l’Italia

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Procede, non senza tensioni e ritardi, la designazione dei nuovi vertici dell’Unione Europea. Dopo l’elezione di Martin Schulz, socialista tedesco, alla presidenza del Parlamento europeo e quella di Jean – Claude Juncker, lussemburghese del Partito popolare, alla presidenza della Commissione europea, restano da definire i componenti dell’Esecutivo comunitario, il presidente dell’Eurogruppo e il presidente stabile – in carica due anni e mezzo rinnovabile una volta – del Consiglio europeo. Un percorso a ostacoli nel semestre europeo a presidenza italiana che, come aveva annunciato Renzi, avrebbe dovuto prima occuparsi dei programmi e solo dopo delle poltrone.

In realtà le due cose vanno insieme: i nomi per le poltrone fanno parte del programma che a sua volta, per essere praticabile, deve essere affidato a persone credibili e frutto di una condivisione più ampia possibile, vista questa stagione di “larghe intese” e di ancora più larga crisi, non solo economica e sociale, ma anche politica. Il rinvio delle decisioni del Consiglio europeo a fine agosto ha lasciato perplessi e anche qualcosa di più dopo l’intensificarsi del conflitto israelo – palestinese con il suo insopportabile corteo di civili ammazzati e l’abbattimento di un aereo civile con quasi 300 morti nei cieli d’Europa.

Intanto due prime responsabilità sono state formalizzate. Alla presidenza della Commissione europea, Juncker non sarà protagonista di una rivoluzione, ma è la memoria di un progetto da riscoprire e ammodernare e dovrà essere l’uomo del compromesso tra le esigenze dell’economia e quelle del sociale, tra conservatori e progressisti, tra i Paesi del Nord e quelli del Sud e, anche, tra i vecchi partner dell’Ovest e, quelli arrivati da poco, dall’Est. A sua volta, dalla presidenza del Parlamento europeo Schulz dialogherà con Juncker, incalzandolo sui temi della crescita e dell’occupazione, come è normale da parte di un Parlamento chiamato a rispondere alle attese di cambiamento dei suoi elettori e a contrastare l’opposizione euroscettica.

Sulle poltrone mancanti il Consiglio europeo e Matteo Renzi, sono inciampati in contrasti che non annunciano niente di buono per l’attesa svolta dell’UE. L’azzardata candidatura italiana per il posto di Alto Rappresentante per la politica estera si è scontrata con una larga opposizione esplicita e con qualche retropensiero da parte di altri Paesi sulle capacità e l’esperienza di una candidata, l’attuale ministra Federica Mogherini, alla quale sono state peraltro attribuite inclinazioni filo-russe che avranno stupito lei per prima. Nell’occasione è stato fatto circolare il nome di Enrico Letta, probabilmente bruciato – oltre che dalle chiusure di Renzi – anche dal sostegno espresso nell’area del Partito popolare europeo. Le trattative proseguono a carte coperte piuttosto che in diretta streaming, della quale peraltro in Europa non si sente la mancanza.

Resta l’urgenza di dare una guida all’UE per le sue politiche economiche – ancora troppo delegate alla Banca centrale europea – e per il suo dialogo con i Paesi confinanti, al fine di salvaguardare la pace e governare per quanto possibile i crescenti flussi migratori.

L’Italia ha, in questo semestre, l’occasione di svolgere un ruolo importante, correndo però anche il rischio di passi falsi e di non fare seguire alle molte parole almeno alcuni risultati concreti che convincano l’Europa sulla capacità del governo italiano di realizzare le riforme ampiamente annunciate.

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