Ancora sangue sulle Primavere arabe

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In Egitto é stato un fine settimana che si è concluso in un bagno di sangue, che ha fatto più di 70 vittime e un numero elevatissimo di feriti. Ormai marcatamente divisa in due campi opposti, la popolazione si sta avviando, con l’interposizione dell’esercito, verso una guerra civile che ha come  punto di snodo il futuro politico del Paese dopo la caduta di Hosni Mubarak, e cioé  un Egitto laico o un Egitto dal profilo islamico, come si è venuto a delineare attraverso le elezioni legislative e presidenziali svoltesi in questi ultimi due anni.

Dopo l’intervento dell’esercito del 3 luglio scorso che ha destituito il Presidente Morsi, rappresentante della Fratellanza musulmana, e sostenuto la costituzione di un nuovo Governo di transizione, la situazione sembra completamente polarizzata e senza possibili sfumature intermedie fra, da una parte i manifestanti anti Morsi, sostenuti dall’esercito e dall’altra i Fratelli Musulmani che, invocando la legittimità e condannando il «colpo di Stato», chiedono il ritorno di un Presidente democraticamente eletto. Ed è nel campo dei Fratelli musulmani che è caduta la maggior parte delle vittime di quest’ultimo venerdì di sangue.

La posta in gioco ora è elevatissima perché l’Egitto possa superare questo grave momento di impasse nella sua transizione, perché interrompa la corsa verso la guerra civile e perché freni il rischio della destabilizzazione nell’intera regione.  Ed é proprio in quegli spazi fra due posizioni estreme e opposte che devono trovare posto gli ingredienti del dialogo e del compromesso, dell’inclusione e delle barriere agli estremismi . E’ ancora in quegli spazi che la società civile, senza delega all’esercito, deve incontrarsi e delineare il futuro del suo Paese. Il Governo di transizione ora in carica, dovrà portare al più presto a nuove elezioni legislative e presidenziali e alle condizioni per la definizione di una Costituzione in cui si rispecchino, senza prevaricazioni o imposizioni, le opinioni e le anime della maggioranza della popolazione. Tutto ciò è necessario se l’obiettivo ultimo dell’Egitto rimane la transizione verso una democrazia e la volontà di neutralizzare i gravi rischi, ora presenti più che mai, di una inquietante ricaduta nel buio di una dittatura, sia essa di matrice militare o islamica.

All’Egitto, in questo grave momento, sta guardando in particolare la Tunisia, scossa anch’essa, il 25 luglio scorso, dal secondo assassinio di un oppositore politico, Mohamed Brahmi. Un assassinio che segna anche qui con il sangue la forte tensione di cui è intrisa la transizione politica nel Paese, in particolare per quanto riguarda il rapporto o l’opposizione fra laicità e islamismo. Il partito Ennhada al potere, vicino ai Fratelli Musulmani, ne sembra cosciente e ha percepito che attraverso l’assassinio di Brahmi si è voluto colpire non solo l’opposizione ma anche il fragile cammino della Tunisia verso la democrazia e il pluralismo. Al riguardo, il prossimo futuro riserva al Paese un passaggio importante e senz’altro rivelatore sulla possibilità di un equilibrio politico: sono attese infatti le date per le elezioni legislative e presidenziali che dovrebbero mettere fine all’attuale Governo di transizione, ma soprattutto è atteso il testo della nuova Costituzione, la legge fondamentale in grado o meno di unire o dividere la nuova Tunisia. Con la speranza che non sia attraverso nuovi spargimenti di sangue.

 

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