Eurasia: la partita a scacchi continua

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La storia – e qui la parola potrebbe non essere eccessiva – propone talvolta singolari coincidenze. Come quella che si è manifestata sabato scorso in quella che forse dovremmo cominciare a chiamare Eurasia: sui Campi Elisi a Parigi hanno sfilato i rappresentanti delle truppe dei 27 Paesi dell’UE, da Mosca è giunta la decisione di sospendere l’applicazione del Trattato sulle armi convenzionali (CFE) e da Ankara l’annuncio di un’intesa tra Turchia e Iran per la fornitura di gas all’Europa.
Sarebbe eccessivo pretendere che un filo rosso leghi questi tre avvenimenti in un disegno comune, ma la lettura attenta di ciascuno di essi rivela come sia intrecciata la politica internazionale e quale impatto possa avere a termine sulla nostra vita quotidiana.
Cominciamo questa sommaria lettura dal fondo, dall’intesa turco-iraniana sulla fornitura di energia. In questa Europa dove tacciono le armi, una pistola resta puntata sull’UE ed è quella della dipendenza energetica che si cerca provvisoriamente di temperare con la diversificazione delle fonti di approvvigionamento oltre che con il risparmio energetico e il ricorso alle energie alternative. Oggi l’urgenza in materia di approvvigionamento si traduce in particolare nel tentativo di sfuggire alla dipendenza dal gigante russo Gazprom. Per capirlo basta uno sguardo alla mappa degli oleodotti e gasdotti che riforniscono o riforniranno l’Europa in provenienza da Est: aggirano la Russia in provenienza dall’Asia centrale attraverso l’Azerbaijan e la Georgia e, insieme con quelli che provengono dal Turkhmenistan, l’Iran e l’Iraq, confluiscono tutti verso la Turchia e di lì arrivano nel Mediterraneo. E’ una mappa che aiuta a capire l’interesse dell’Europa per la Turchia e l’attenzione che porta all’area mediorientale. Ma spiega anche il nervosismo della Russia, irritata per questo aggiramento che coinvolge territori ex-sovietici e alleati tradizionali dell’area.
Irritazione che, per altre ragioni, è rafforzata dalla pressione che la Russia subisce dal progetto USA di installare postazioni missilistiche e di radar ai suoi confini in Polonia e nella Repubblica ceca e dalla NATO che non ratifica il Trattato sulla riduzione delle armi convenzionali (CFE) sottoscritto nel 1990 all’indomani della caduta del Muro di Berlino e rinegoziato nel 1999. La NATO giustifica questo rifiuto con l’accusa alla Russia di mantenere un’indebita presenza militare in Moldavia e in Georgia. Cioè, guarda caso, proprio in un Paese che consente all’Europa di aggirare la fornitura energetica russa. Sarà   una coincidenza, ma è in questo contesto che Putin l’altro giorno ha dichiarato la sospensione del Trattato CFE, aprendo di fatto un nuovo fronte di crisi che dispone adesso di 150 giorni per trovare una soluzione negoziata. Dicono gli osservatori che è solo tattica negoziale e che la «pistola di Putin» è scarica: voglia il cielo che la sola pallottola che gli resta nella «roulette russa» non esploda mai.
A questo punto resta da commentare la parata-trovata di Sarkozy che ha fatto sfilare le truppe dei 27 Paesi UE ai Campi Elisi il 14 luglio scorso: episodio che con le due notizie precedenti non c’entra proprio niente, salvo che dice quanto sia giocosa e spensierata questa Europa mentre ai suoi confini si preparano vicende molte serie.
Le immagini in provenienza l’altro giorno da Parigi avevano un vago sapore di operetta e certo non potevano supplire all’assenza in questa Europa di una politica estera e di sicurezza comune, che ancora il futuro Trattato UE non renderà   compiutamente possibile.
D’altra parte come pretendere che proprio da Parigi, dove nel 1954 venne affossata la Comunità   europea della difesa (CED), possa venire per l’Europa il coraggio di lasciarsi alle spalle nazionalismi e esasperazioni identitarie per avviarsi verso un’Unione europea sopranazionale?
C’è da ringraziare i nostri bravi granatieri di Sardegna che l’altro giorno a Parigi hanno sfilato seri seri, probabilmente più fieri della loro storia che preoccupati del nostro futuro comune.

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