Al voto per o contro l’Europa

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Le elezioni europee sono in calendario per giugno 2014, in Italia la crisi del governo Monti ne anticiperà i temi tra poco, quando gli italiani saranno chiamati a eleggere il nuovo Parlamento italiano.

Accadrà così qualcosa di inedito nella storia della giovane democrazia italiana che, dopo sessant’anni di integrazione europea, dovrà decidere se la scelta italiana di concorrere a fondare l’Europa unita all’inizio degli anni ’50 debba essere riconfermata e accelerata o finire in archivio come un sogno svanito.

Accadrà anche che, dopo tante campagne elettorali per il Parlamento di Strasburgo senza l’Europa all’ordine del giorno, adesso sarà una campagna elettorale per il Parlamento italiano a dover mettere al centro l’Europa, il suo futuro e quello dell’Italia.

Era ora che ciò accadesse e l’Italia avrà fra pochi mesi l’occasione, se lo vorrà, di ri-diventare europea, come lo è per storia e cultura e non solo come “espressione geografica” come ebbe a dire di noi quasi due secoli fa il cancelliere Mettermich.

E l’Italia, per non essere in questa Europa che sta cambiando radicalmente il suo profilo, una trascurabile “espressione geografica”, come avvenuto nell’infelice ventennio trascorso, appena riportata agli onori del mondo da uomini come Prodi, Napolitano, Monti e Draghi, eredi in modi diversi della tradizione europeista di De Gasperi e Spinelli.

La credibilità ritrovata in Europa è fragile e non può essere soltanto il frutto di alcuni “uomini soli al comando”: deve diventare una cultura del popolo italiano, pagando i prezzi che questo comporta e facendosi carico con responsabilità dei sacrifici necessari per tornare a contare, per forza propria e non grazie allo sguardo compassionevole dei nostri partner.

Perché questo avvenga bisognerà non ingannare gli elettori: non solo sulle responsabilità di chi ha portato l’Italia sull’orlo del baratro, come già ben sanno gli italiani che hanno occhi per vedere; più impegnativo sarà parlare chiaro sulle sfide del futuro e non alimentare illusioni.

L’enorme macigno del debito pubblico, ormai a duemila miliardi di euro con costi annuali per i soli interessi vicino ai cento miliardi, non è un’invenzione dell’Europa o di Monti ma il risultato di politiche di bilancio lassiste e inique; il pareggio annuale di bilancio, a cui si è impegnato con leggerezza il governo precedente, peserà sulla tenuta del welfare e sulla possibilità di rilanciare vigorose politiche di sviluppo. Non basterà invocare Keynes per uscire dalla trappola in cui siamo finiti: bisognerà continuare a coniugare rigore – allentandolo nei confronti di chi ha già dato tutto o quasi – e  stimoli alla crescita; trovare un nuovo equilibrio tra riduzione della spesa pubblica, senza penalizzare ulteriormente quella destinata al welfare, e revisione delle politiche fiscali perché non siano una zavorra per lavoro e impresa e abbiano più coraggio nel colpire le rendite e i grandi patrimoni, come sta cercando di fare negli USA Obama alle prese, anche lui più di noi, con grandi squilibri di bilancio.

Questa crisi è per gli italiani l’occasione di recuperare il tanto tempo perduto, scegliere il profilo di politici responsabili, guidati da una visione lunga che guardi all’Europa come a un cantiere che si sta riaprendo e dove non è scritto da nessuna parte che sia monopolio della Germania e nemmeno della sola Banca centrale europea. L’Europa è casa nostra e tocca anche all’Italia, suo Paese fondatore, ricostruirla e contribuire, con chi ci sta, ad accelerare verso l’unione politica, dotata di istituzioni autenticamente federali e legittimate democraticamente, molto di più di quanto non lo siano adesso. Il crogiuolo della nuova Europa che sta nascendo è nell’eurozona e l’Italia ne fa parte e di lì può ripartire, a condizione di non abbandonarsi a insane ondate di populismo o deliri contro l’euro che esporrebbero gli italiani a una rovinosa deriva.

 

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