I mali del mondo all’ordine del giorno dell’ONU

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Come ogni anno a settembre quasi tutti i leader del mondo  si ritrovano a New York per la riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e per discutere dei principali problemi e sofferenze  del mondo. Sotto la nuova Presidenza di Vuk Jeremic, ex Ministro degli Affari  esteri di Serbia, l’Assemblea aveva iscritto al suo ordine del giorno punti caldi come il Mali, il Congo, la coesistenza dei due Sudan o il programma nucleare iraniano. Molti gli interventi attesi, in particolare quello del Presidente Barack Obama,  in un momento in cui le Primavere arabe e le rivolte nel mondo mussulmano contro il film sul Profeta Maometto,  stanno ridisegnando i rapporti fra Medio oriente e Occidente. E non solo da un punto di vista geostrategico, ma anche sotto un altro aspetto di grande sensibilità e cioè la libertà d’espressione, tema centrale del suo discorso.

La guerra in Siria, prima priorità dichiarata dal Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon, non è stata tuttavia oggetto di riunioni formali ad alto livello, a dimostrazione di quanto l’ONU e più in particolare il Consiglio di sicurezza, siano da mesi bloccati dai veti russo e cinese su qualsiasi tentativo di risoluzione che condanni il regime di Bachar al Assad.  Una guerra presente comunque nei discorsi di tanti leader , in particolare nelle dichiarazioni del Presidente francese Francois Hollande che non ha esitato a confermare l’intenzione del suo Paese di  “riconoscere un governo provvisorio, rappresentativo di una nuova Siria libera, non appena verrà costituito”. Una guerra che divide non solo il mondo arabo, ma tutta la comunità internazionale e i cui esiti avranno conseguenze ancora incerte sulla stabilità dell’intera regione. Ma se la Siria sarà oggetto di discussioni e di prese di posizione diverse, è chiaro che non sarà nel quadro di questa Assemblea generale che potranno scaturire decisioni o risoluzioni, competenze che spettano unicamente al Consiglio di Sicurezza.

L’attenzione dell’Assemblea generale  è stata inoltre richiamata su un altro dossier sensibile in Medio oriente e cioè quello del programma nucleare dell’Iran. Un programma che inquieta la comunità internazionale e in particolare Israele,  il cui Primo Ministro Netanyahu da mesi soffia sul fuoco dell’intervento militare per impedire che l’Iran porti a compimento la seconda fase di arricchimento dell’uranio necessario a costruire la bomba atomica. Un’eventualità che fa rabbrividire sulle possibili conseguenze, tanto da indurre la comunità internazionale e in particolare gli Stati Uniti ad insistere su una soluzione diplomatica e l’adozione di ulteriori sanzioni nei confronti dell’Iran.

L’attualità ha purtroppo messo in secondo piano il lungo ed irrisolto conflitto israelo-palestinese.  Ad un anno esatto dal famoso discorso di Mahamoud Abbas in cui chiedeva all’Assemblea generale  di riconoscere la Palestina come Stato membro di pieno diritto dell’ONU, quest’anno il tema  ha suscitato poco o nessun interesse, tanto da ridurre la richiesta ad uno statuto di Stato non membro. D’altro canto, il Consiglio di sicurezza, unico organo in grado di concedere la piena adesione di uno Stato all’ONU, si sarebbe questa volta scontrato con un veto degli Stati Uniti. Al riguardo, il Segretario generale Ban Ki-moon ha usato parole inquietanti  e ha detto di temere che una soluzione a due Stati si stia allontanando sempre più.

Infine, altro punto caldo discusso in margine all’Assemblea  è stato  la situazione nel Nord del Mali. Occupata da alcuni mesi da gruppi di estremisti islamici che cercano di imporre le loro leggi con il terrore, la zona è ad alto rischio di esplosione. Con la Francia in prima linea, visti i forti interessi nella regione (oltre ai sei ostaggi  tuttora nelle mani degli estremisti) nel  sostenere  un intervento militare della CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), l’Assemblea generale ha messo all’ordine del giorno la presentazione una proposta di risoluzione al Consiglio di sicurezza in tal senso e con l’obiettivo di  appoggiare il Mali a riconquistare il Nord del Paese, divenuto ormai punto di incontro dei jihadisti di tutta la regione.

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