Si è fatto un gran parlare i giorni scorsi del Manifesto scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, al confino nell’isola di Ventotene ad opera del regime fascista. La polemica politica non ha sempre giovato alla comprensione di un testo complesso, specie se manipolato fuori dal travagliato contesto storico in cui aveva preso forma, isolandone alcuni passaggi imposti dalle drammatiche tensioni del periodo e, soprattutto, non leggendolo nella sua evoluzione fino ai giorni nostri.
Perché la prima cosa da ricordare del Manifesto di Ventotene è che non si tratta di un monumento polveroso del passato, ma di un progetto visionario che ha attraversato tutta la storia dell’integrazione europea, alimentando il dibattito politico come è facile capire dal protagonismo in materia per decenni di Altiero Spinelli, un filo rosso che aiuta a dissolvere le nebbie della propaganda politica.
Spinelli, prima di diventare uno dei padri del progetto europeo con altri personaggi di alto profilo – come da noi Duccio Galimberti e Luigi Einaudi – era stato un antifascista e per questo aveva conosciuto il carcere e poi il confino, un padre della riconquistata democrazia italiana, espulso dal partito comunista per la sua opposizione a Stalin, favorevole al Piano Marshall nel 1947, diventato membro della Commissione europea dal 1970 al 1976, sostenitore critico del sistema monetario europeo nel 1979.
Un percorso personale che coniuga visione ideale con il necessario realismo della politica e spiega l’attualità del Manifesto di Ventotene ancora nei giorni nostri, ben al di là delle nostre piccole polemiche provinciali.
Non bisogna infatti dimenticare che dalle radici di allora sono germinati frutti importanti tradottisi, anche se non sempre riconosciuti, in progressi sulla strada dell’integrazione europea.
Basterebbe in proposito ricordare il tenace impegno di Spinelli, parlamentare europeo dal 1976 al 1986, per l’elaborazione di un progetto di Trattato che prevedeva la trasformazione della Comunità in una Federazione. Approvato il 14 febbraio 1984 a stragrande maggioranza dal Parlamento europeo, il progetto venne progressivamente depotenziato dai governi nazionali, senza però riuscire a sotterrarlo come il seguito avrebbe dimostrato.
Quel progetto riemerse in occasione della Convenzione europea che una ventina di anni dopo lavorò al “Progetto per una Costituzione europea”, firmato il 29 ottobre 2004 questa volta da tutti i governi dei Paesi membri, ma affondato nel 2005 dai referendum francese ed olandese. Ma parte di quel progetto ritornò in vita nel Trattato di Lisbona, attualmente in vigore con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, riprendendo molti degli spunti di Spinelli, anche se in assenza di un quadro costituzionale di più alto valore simbolico e politico.
Per semplificare, due le lezioni da trarre dalla storia del Manifesto di Ventotene e di uno dei suoi protagonisti, Altiero Spinelli: la vitalità di progetti visionari che durano nel tempo e la necessaria pazienza per tradurli nello spazio complesso, e spesso anche contraddittorio, della politica, in particolare di quella europea.
L’Europa assomiglia alla tela di Penelope: tessuta alla luce del giorno e distrutta nella notte buia delle guerre, quelle con le armi e quelle con i miopi interessi nazionali. Per completare e proteggere la tela della futura Unione Europea sarà necessario il ritorno di Ulisse, non un uomo o una donna soli al comando, ma il protagonismo dei popoli europei riuniti in una “Assemblea costituente”, come Altiero Spinelli aveva sempre sognato, senza rinunciare, nell’attesa di preparare quel giorno, a percorrere con fatica la strada in salita del difficile processo di integrazione continentale.