USA – UE: se non tutti i mali vengono per nuocere

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A distanza di poco più di un mese dall’insediamento di Donald Trump, per un secondo mandato, è già possibile qualche prima valutazione, avendo cura di distinguere il suo impatto sulla politica interna, impegnata in una decostruzione dello Stato di ispirazione liberale con esiti ancora molto incerti, da quello sulla politica internazionale dove è in corso uno sciame sismico che annuncia rotture e smottamenti nelle relazioni mondiali tanto a livello delle “fastidiose” Istituzioni internazionali che dei rapporti con gli altri attori geopolitici, in particolare Cina, Russia e Unione Europea.

Concentriamoci su questo capitolo “esterno”, già sufficientemente complesso e mobile nelle sue diverse componenti. Per semplificare limitiamoci al quadrilatero USA-Russia-Cina-Unione Europea, senza però dimenticare altri attori che stanno riposizionandosi come il Regno Unito e, prevedibilmente, l’India in forte crescita demografica ed economica, in attesa di capire meglio se e come si aggregheranno i Paesi del Sud globale o BRICS che dir si voglia.

L’inversione delle alleanze USA a 180° riguardano congiuntamente Russia e Unione Europea: la prima invitata ad una sorprendente complicità per la soluzione del conflitto in Ucraina, mescolando affari USA e rilegittimazione dello zar; la seconda spinta ai margini delle relazioni transatlantiche nel tentativo di escluderla dal negoziato con la Russia, ma facendole carico della futura sicurezza e ricostruzione dell’Ucraina.

L’operazione a prima vista è grossolana come il personaggio che la propone, ma va letta nella prospettiva della competizione, non solo economica e tecnologica, con la Cina, l’altra potenza che sta riarmando in vista di potenziali conflitti nell’area dell’Indo-Pacifico.

In questo scenario, dopo un comprensibile trauma iniziale, si sta muovendo la multiforme Europa, quella dei suoi “staterelli nazionali”, quella che aggrega 27 Paesi nell’Unione Europea e una sua componente, che sembrava periferica, il Regno Unito, vittima del logoramento della sua “partnership speciale” con gli USA.

Tra i Paesi UE si va formando, almeno sul versante della sicurezza, un’avanguardia erede del “Triangolo di Weimar”, composto da Germania, Francia e Polonia, cui si stanno aggregando Spagna, Olanda, Danimarca e, forse un giorno, l’Italia. Uscito dall’Unione Europea nel 2020 sta associandosi a questo gruppo il Regno Unito, l’altra potenza nucleare europea con la Francia. Le recenti riunioni a geometria variabile a Parigi e Londra, domenica scorsa, lasciano intravedere a qualcuno, in questo primo gruppo, un nuovo “nucleo duro” della futura Unione, ad altri la dissoluzione dell’Unione esistente, in assenza ancora di un’alternativa matura di una nuova Comunità. 

In questo scenario molto fluido, l’Unione Europea a 27 stenta a trovare una sufficiente coesione per avviare una politica comune della difesa, che sembra provvisoriamente possa essere presa in carico, seppure limitatamente, dalla “coalizione dei volenterosi” delineata sopra. La ritrovata, anche se ancora fragile, stabilità politica della Germania potrà giocare in questa ricerca di coesione un ruolo importante se Friederich Merz manterrà con determinazione la linea chiaramente annunciata di una indipendenza europea dagli USA, compreso per quanto riguarda la difesa. E non sarà irrilevante il suo atteggiamento per un alleggerimento delle regole del Patto di stabilità, fino a una auspicata utilizzazione di un debito pubblico europeo per investimenti nella sicurezza.

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