L’Area Schengen rappresenta “l’area di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne” (art. 3 TUE) più grande al mondo, garantendo la libera circolazione di oltre 450 milioni di cittadini UE e di tutti i cittadini extra-comunitari residenti nell’Unione o presenti al suo interno per ragioni turistiche, lavorative o di istruzione.
Inizialmente consacrata dall’accordo tra i governi di Lussemburgo, Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi il 14 giugno 1985 (firmato simbolicamente sulla Mosella, fiume che sorge in Francia per poi immettersi nel Reno tedesco, passando per il Lussemburgo), è stata gradualmente estesa a tutti gli Stati dell’Unione Europea (esclusi Irlanda e Cipro), includendovi financo 4 Paesi non-UE (Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein).
È il trattato di Maastricht del 1992 a introdurre il concetto di cittadinanza dell’UE ed è questa a sancire il diritto delle persone di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Il Trattato di Lisbona ha confermato tale diritto, ribadendo la libertà di movimento di persone, beni, servizi e capitali all’interno di uno spazio comune europeo.
L’originalità di questo “esperimento” politico sta nel fatto che Stati sovrani tra loro confinanti hanno abolito le frontiere che li separano all’insegna della fiducia reciproca, con i benefici e i rischi che tale integrazione senza precedenti implica. Tuttavia, da circa 10 anni si è spesso assistito alla limitazione temporanea delle regole Schengen da parte di alcuni Stati membri, ad esempio come conseguenza degli ingenti flussi migratori del 2015-16, e nel contesto della diffusione dell’epidemia di Covid. Più di recente, il ripristino dei controlli ai confini interni è stata una politica trasversale a molti Paesi Schengen nel 2024: Francia, Italia, Austria, Slovenia, i Paesi scandinavi di Danimarca, Svezia e Norvegia, e, da ultimi, Germania (in seguito all’attentato di Solingen) e Paesi Bassi (il cui ministro per la migrazione e l’asilo ha dichiarato di voler rendere il Paese “il meno attraente possibile”).
Tali orientamenti politici sono ormai consolidati nell’approccio al contrasto all’immigrazione e in quello della ricerca di sicurezza nei governi di impronta nazionalista, anche se non sono esenti da tali tentazioni anche i governi liberal-progressisti. Inoltre, il perdurare dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente ha provocato un aumento notevole delle richieste di asilo, oltre a suscitare il timore che si possano presentare nuove forme di terrorismo ed estremismo. Resta il fatto che, in base all’articolo 25 del Codice delle Frontiere Schengen, adottato nel 2006, sospendere temporaneamente e in via eccezionale Schengen è nelle facoltà di un Paese “in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro”.
Per quanto riguarda invece il controllo delle frontiere esterne comuni, la necessità di coordinamento tra i Paesi Schengen ha portato all’armonizzazione delle politiche migratorie e di sicurezza, come le regole sui visti, sulle espulsioni, sulle operazioni di polizia interstatali, sullo scambio di informazioni tra agenzie di pubblica sicurezza di diversa affiliazione statale, ecc. Di particolare rilevanza a tale scopo è il Codice delle Frontiere Schengen, che disciplina la gestione dei flussi in uscita e in entrata, affiancato dal Visa Information System (VIS) e dallo Schengen Information System (SIS) – il primo permette la condivisione dei dati riguardanti i visti, il secondo quelli riguardanti la circolazione di potenziali criminali e il rintracciamento di merci rubate o perse.
Per approfondire: eur-lex.europa.eu/art. 3 TEU/legal-content
la Bulgaria e la Romania entrano nell’area Schengen
Schengen: guida alla zona europea senza frontiere
Ecco quali altri Paesi Schengen prevedono controlli alle frontiere
Schengen: l’immigrazione irregolare mette in crisi la libera circolazione
Germania, entrano in vigore i nuovi controlli alle frontiere terrestri