UE e Italia, quando i conti non tornano  

17

È già tempo di un primo bilancio sui rapporti tra l’Unione Europea e l’Italia dopo le turbolenze politiche che si sono manifestate all’indomani delle elezioni per il Parlamento europeo a inizio giugno, a “tregua elettorale “ finita tra Roma e Bruxelles.
Un primo momento di verità era già stato quello del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo del 27 giugno quando il governo italiano si trovò sul tavolo, senza esserne stato prima coinvolto, le proposte per l’ affidamento delle responsabilità ai futuri Vertici UE. La presidente del Consiglio italiano, tagliata fuori dai giochi, alzò la voce, dichiarando il suo voto contrario alle candidature per la presidenza del Consiglio europeo e per l’Alto Rappresentante per la politica estera e astenendosi sulla candidatura di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, quasi un estremo tentativo di dialogo in vista del voto di ratifica atteso dal Parlamento europeo per il 18 luglio.
Ancora all’immediata vigilia del voto parlamentare sembrava che quell’apertura potesse riportare in gioco, se non l’Italia, almeno il partito di maggioranza al governo, Fratelli d’Italia e la presidente del Consiglio. Sappiamo come è andata: quel voto ha confermato la linea di chiusura e l’isolamento italiano nell’UE, tanto nel Parlamento europeo che nei confronti della Commissione e se ne vedono adesso le prime conseguenze.
Il Parlamento europeo ha provveduto la settimana scorsa a definire le presidenze delle Commissioni: agli italiani sono andate due sole presidenze, quella importante per Ambiente e sanità pubblica a De Caro, del partito democratico, e quella della sottocommissione Questioni fiscali a Pasquale Tridico dei Cinque stelle. Nessuna presidenza di commissione a Forza Italia e alla Lega e nessuna nemmeno per Fratelli d’Italia, questi due partiti tenuti a distanza da un “cordone sanitario” di diversa intensità.
In questo clima di presa di distanza, nei giorni scorsi anche la Commissione europea ha fatto passi nella stessa direzione rendendo pubblico, con colpevole ritardo, il suo rapporto annuale sullo Stato di diritto e il minimo che si possa dire è che l’Italia di Giorgia Meloni non se ne esce molto bene.
Preoccupa la Commissione europea, guardiana dei Trattati , il cantiere della riforma costituzionale a favore del premierato per l’alterazione degli equilibri di poteri nello Stato, l’eccessivo ricorso ai decreti legge e ai voti di fiducia che riducono il ruolo del Parlamento, la pressione del potere esecutivo sull’indipendenza della magistratura, aggravata dall’abolizione del reato di abuso d’ufficio e dalle restrizioni per l’uso delle intercettazioni.
Non manca nel Rapporto della Commissione un’attenzione particolare sui rischi che corre la libertà di informazione con le minacce e le aggressioni ai giornalisti, senza dimenticare quanto avviene per il servizio pubblico della RAI per la quale “serve una riforma che eviti le interferenze della politica “.
Queste preoccupazioni, e molte altre ancora, emergono dalla vigilanza UE, particolarmente attenta a quanto sta avvenendo in Italia con l’attuale governo e questo alla vigilia di decisioni importanti: dal portafoglio atteso per il commissario italiano alle persistenti preoccupazioni per l’esecuzione del PNRR, dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo in vista di una dolorosa riduzione del debito con la futura legge di bilancio fino al fantasma del Meccanismo europeo di stabilità (MES) che tornerà sicuramente a manifestarsi.
Salvo miracoli, improbabili visto il clima politico generatosi dopo il voto europeo tra Roma e Bruxelles, dopo questa calda estate è prevedibile un autunno non proprio rinfrescante.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here