Dal voto del Parlamento europeo all’UE di domani

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Anche per l’Europa vale il proverbio: “chi semina vento, raccoglie tempesta” e poiché di vento se n’era  prodotto tanto, non stupisce se adesso non torna subito il sereno. Già la campagna elettorale, un po’ ovunque, aveva agitato temi molto più locali che europei, erano cresciuta a dismisura le tensioni tra le ali estreme degli schieramenti, regalando alle forze nazional-populiste tribune immeritate che molti speravano avrebbero contribuito a ampliarne il consenso, senza che poi questo si traducesse in  numeri rilevanti.

A urne chiuse, dopo la conferma della tradizionale maggioranza “europeista”, con una significativa curvatura a destra, è toccato al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo procedere alle designazioni dei futuri Vertici UE: due nella sua esclusiva disponibilità e uno, la presidenza della Commissione, da sottoporre all’approvazione del Parlamento europeo. Per le prime due designazioni, la poltrona del presidente del Consiglio europeo era andata al socialista portoghese, Antonio Costa, e quella di Alto Rappresentante per la politica estera alla liberale estone Kaja Kostas: per entrambe queste designazioni il governo italiano si era espresso contro, mentre una posizione ambigua si era manifestata nei confronti di Ursula von der Leyen, destinataria dell’astensione italiana.

Tutti questi precedenti incombevano sul Parlamento europeo, chiamato il 18 luglio ad esprimersi sulla candidatura di Ursula von der Leyen, appoggiata non senza qualche mal di pancia dalla fragile maggioranza composta dal Partito popolare, dai socialisti e dai liberali, esposta al rischio dei franchi tiratori, complice il voto segreto. 

E qui si è aperto un bivio che potrebbe rivelarsi decisivo per l’orientamento politico della nuova legislatura: o cercare voti a destra, in particolare con Fratelli d’Italia, escludendo le destre estreme, oppure chiedere soccorso ai Verdi. Ha prevalso questa seconda  opzione che ha contribuito a tagliare ulteriormente fuori l’Italia dalla cabina di regia UE, mantenendo il “cordone sanitario”, a scudo della democrazia, anche per i conservatori di Giorgia Meloni.

Questa scelta si è tradotta in un primo schema di linee programmatiche, molto ecumenico, proposto con acrobatica prudenza da Ursula von der Leyen, assicurandole l’investitura per un secondo mandato con una maggioranza di 401 voti favorevoli e 284 contrari.

Se si fosse affidato all’Intelligenza artificiale la redazione del documento di linee programmatiche probabilmente ne sarebbe venuto fuori un testo molto simile a quello presentato, tanto questo riprendeva linee già condivise, limitandosi a rafforzarne alcune e a cautelarsi su altre. 

Tra le linee rafforzate, le priorità della difesa comune, della competitività (in attesa del Rapporto Draghi), della protezione del benessere e dei diritti sociali, con la novità di una particolare attenzione al problema della casa, nella prospettiva dei futuri allargamenti, con vista sulla riforma dei Trattati e del voto all’unanimità.

La cautela si è invece manifestata sulla futura gestione della politica ambientale, economicamente e socialmente sostenibile; sul versante dei flussi migratori, da fermare alle frontiere più che non da governare con politiche di accoglienza, e in favore di una rivisitazione della politica agricola, tradizionale spina nel fianco del bilancio comunitario e delle regole a protezione dell’ambiente.

Sono questi solo alcuni dei molti temi sollevati, insieme con l’annuncio della creazione di uno “scudo per la democrazia” per il quale sono attese proposte concrete, come qualcosa di più concreto è atteso sulle risorse finanziarie disponibili per gli obiettivi ambiziosi annunciati. 

Per questo c’è ancora tempo: bisogna adesso comporre la nuova squadra di Commissari, con un comprensibile punto interrogativo sul portafoglio affidato all’Italia dopo tutti “no” profusi dal governo, e tornare a novembre davanti al Parlamento europeo per presentare un più compiuto e credibile programma di legislatura. 

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