Il voto francese: i no che aiutano a crescere

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E’ stato un libro di successo quello dal titolo: “I no che aiutano a crescere” con la proposta di sagge regole di educazione familiare. Lo si potrebbe adesso riproporre per alcune prime considerazioni sul voto francese di domenica 7 luglio, un secondo turno delle elezioni legislative non privo di sorprese.

La Francia in affanno del presidente Emmanuel Macron, uscita travolta al primo turno dall’ondata nera del “Rassemblement national” (RN) di Marine Le Pen e Jordan Bardella, si è ricompattata a far argine all’estrema destra con risultati in gran parte inattesi. In un Paese che a a più riprese in passato aveva fermato la destra estrema in nome della “fedeltà repubblicana”, la sorpresa è consistita non tanto nel  contenimento  del “RN”, se non per la misura fortemente ridotta seggi ottenuti, quanto piuttosto per i risultati delle sinistre e del centro. Le prime per il gran numero di seggi ottenuti (182 seggi contro 143 a RN), il secondo per la tenuta che ha fatto dire a qualcuno che Macron, con il centro in seconda posizione (168 seggi)  aveva vinto, almeno in parte, la sua azzardata scommessa con lo scioglimento dell’Assemblea decisa subito dopo l’esito del voto europeo.

In tutta questa inedita vicenda sembra che la parola chiave sia stata un secco “no” di tutti contro tutti. Il no del RN all’Unione Europea, al sostegno all’Ucraina aggredita da Putin, a Macron, ai migranti, alla riforma delle pensioni, alla politica economica in corso e via seguitando.

Speculare la risposta dalla sinistra – meglio il cartello delle sinistre fragilmente aggregate per l’occasione – contraria anch’essa al presidente della Repubblica, alla sua politica estera ed economica, alla regressione sociale e all’arroganza di un potere in difficoltà e ambigua sul suo atteggiamento verso il processo di integrazione europea.

Assediata da destra e da sinistra, l’area politica macroniana poteva contare sull’arma decisiva  del potere presidenziale assicurato, salvo imprevisti, fino al 2027, la vera scadenza al centro della posta in gioco della contesa politica, con il conseguente rifiuto di un’alleanza con gli altri due contendenti, o almeno con le loro ali più estreme.

E’ adesso evidente che la somma di tre no renderanno difficile trovare un sì ad una qualche intesa, necessaria comunque per avere un’Assemblea nazionale in grado di tenere in vita un governo almeno per un anno, scadenza prima della quale non sarà possibile tornare al voto. 

Resta anche da interrogarsi quanto tutti questi no aiuteranno a crescere, non solo la Francia verso un nuovo quadro politico e una maturità disponibile al compromesso, e quali forze politiche i no faranno crescere negli anni che verranno, in particolare in vista delle elezioni presidenziali del 2027. Molto dipenderà dalle politiche che verranno sviluppate e non poco dal nuovo contesto europeo.

Le difficoltà delle finanze pubbliche francesi, come sappiamo noi italiani, non consentiranno grandi miglioramenti nelle politiche sociali, dalle pensioni al salario minimo, rischiando di dare ulteriore fiato ai populismi delle due ali estreme dello schieramento politico e non sembra, al momento, che il peso politico indebolito della Francia nell’Unione Europea sia in grado di consentirle di giocare un ruolo come nel passato. Tanto più che è in difficoltà anche l’alleato tedesco, alle prese l’anno prossimo con difficili elezioni federali, mentre già a novembre l’UE dovrà fare i conti con l’esito delle elezioni presidenziali USA, al punto che ci è di conforto il risultato elettorale britannico che annuncia una riduzione delle distanze tra le due sponde della Manica.

Non è difficile prevedere per il futuro del continente movimenti sismici che ne modificheranno la configurazione politica: sarà importante per un suo assestamento il ruolo che riuscirà a giocare l’Unione Europea uscita dalle elezioni di giugno.    

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