Da Einaudi una lezione per vincere la pace

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Siamo entrati nel 150° anniversario della nascita, a Carrù il 24 marzo 1874, di Luigi Einaudi, attivo nella sua azienda agricola a Dogliani, europeo di solide radici cuneesi, eletto Presidente della Repubblica italiana l’11 maggio del 1948, dopo essere stato un autorevole componente dell’Assemblea Costituente e membro del Governo della giovane Repubblica (Finanze e Tesoro) tra il 1947 e il 1948.

Di Einaudi e dei molti suoi meriti sentiremo parlare nei giorni e mesi che verranno, prevalentemente per il suo profilo di economista saggio e di statista sobrio.

L’attualità drammatica di questa nuova stagione di guerre ai confini dell’Unione Europea ci suggerisce di concentrarci qui sulla lezione da lui impartita a proposito dell’art. 11 della Costituzione, quella che spesso conosciamo – quando la conosciamo – solo per la sua prima frase: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà…”.

Forse però anche più importante quando l’art.11 prosegue chiedendo all’Italia di consentire “con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le Nazioni”: nasce anche di qui il cantiere della futura Comunità europea, di cui l’Italia sarà Paese fondatore fino dal 1951.

Già all’indomani della fine della Prima guerra mondiale Einaudi, in un articolo del dicembre 1918 sul Corriere della sera, metteva in guardia l’Europa da quello che avrebbe poi testardamente  denunciato come “il mito funesto della sovranità perfetta”, nella quale vedeva l’origine delle guerre che avevano insanguinato il continente, presagendo che su quello strada si sarebbe finito per incendiare di nuovo l’Europa, come avvenne purtroppo vent’anni dopo con la Seconda guerra mondiale 

Se Einaudi fosse ancora tra noi avrebbe qualcosa da dire sui Paesi UE che quella lezione non sembra l’abbiano imparata. Non ha mancato di ricordarcelo lunedì scorso il suo successore, Sergio Mattarella, riconoscendo che “il convinto europeismo di Einaudi risulta come un’altra chiara testimonianza della sua capacità di visione del futuro”. 

Oggi, sullo sfondo di questa “Terza guerra mondiale a pezzi”, e per qualcuno incombente tutt’intera, torna al centro dell’attenzione quella visione di futuro trascritta nell’art.11 della Costituzione, che non si esaurisce nel messaggio negativo del rifiuto della guerra, ma fa leva sulla proposta positiva in vista dell’obiettivo indivisibile di “pace e giustizia”.

Di qui dovrebbe ripartire l’Unione Europea alla ricerca di un’intesa, oggi ancora troppo fragile, per contribuire all’avvio di una trattativa che, senza “alzare bandiera bianca”, conduca a quel traguardo.

Per Einaudi la prima esigenza non era quella di “preparare la guerra per salvaguardare la pace”, ma quello di prevenire il conflitto, promuovendo la giustizia: non solo quella del diritto internazionale,  allora in formazione e oggi calpestato, ma anche la giustizia sociale invocata nell’art. 3 della Costituzione, oggi ampiamente disattesa in Italia e nel mondo, facendo delle crescenti diseguaglianze il terreno di coltura di conflitti via via crescenti.

Dalle diseguaglianze tra le persone e i gruppi sociali è facile tracimare verso le diseguaglianze tra intere comunità e tra gli Stati, come è testimoniato ogni giorno nell’ONU, ma anche nella nostra Unione, dando vita a una mappa disordinata di “potenze impotenti” che, in competizione ostile tra di loro, finiscono per alimentare un pericoloso disordine mondiale.

Purtroppo il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo dei giorni scorsi a Bruxelles ancora una volta non si è dimostrato all’altezza della sfida che la storia ci sta chiedendo di affrontare. Resta la speranza che le imminenti elezioni europee di giugno possano essere un’occasione per i cittadini-elettori di un supplemento di coraggio per l’Unione Europea che verrà.

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