Cara politica, c’è un giudice in Europa

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La storia, forse una leggenda, racconta di un mugnaio di Potsdam, vittima dei soprusi di un barone che gli rubava l’acqua destinata al suo mulino, che si disse: “ci sarà pure un giudice a Berlino!” per dargli giustizia. E a Berlino c’era, anche se alla fine coincise con Federico il Grande, magistrato supremo: non era ancora la democrazia della divisione dei poteri che avrebbe disegnato Montesquieu, non senza che qualche problema in proposito rimanga anche oggi.

Come nel caso recente dei giovani portoghesi che si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del Consiglio d’Europa a Strasburgo, per ottenere la condanna dei responsabili politici europei (di tutti i 27 dell’UE, più sei altri) che non hanno mostrato responsabilità nella lotta   all’inquinamento climatico e al conseguente surriscaldamento, all’origine di drammatici incendi con molte vittime nella regione di Leria, in Portogallo.

In una singolare coincidenza temporale, anche se in tutt’altra materia, la Corte costituzionale italiana ha aperto alla possibilità per la magistratura italiana di procedere nei confronti degli ufficiali egiziani, ritenuti responsabili della morte di Giulio Regeni, ma protetti dal potere politico egiziano che li ha sottratti a un giusto processo. 

E sempre in Italia si fa duro lo scontro tra la giudice, che a Catania non ha convalidato il fermo di quattro profughi deciso dal questore, e il governo che mette in discussione l’indipendenza della magistratura. 

Si tratta di eventi che meritano una riflessione sul tema della giustizia e la politica in ambito internazionale e nazionale: il ricorso dei giovani portoghesi dinanzi a una giurisdizione europea, nel caso di Regeni nel contesto di un problematico diritto internazionale e a Catania sul rispetto della Costituzione e delle Direttive europee.

In attesa di capire meglio le azioni e i risultati del procedimento atteso da parte della magistratura italiana per Giulio Regeni e sui migranti, concentriamoci sul caso portoghese, senza dimenticare che siamo di fronte a un confronto severo nei confronti di una politica che si dimostra incapace di rispettare il diritto, abbandonandosi a colpevoli omissioni e abusi.

Il Consiglio d’Europa è un’istituzione paneuropea, creata nel 1949 e composta oggi – dopo l’espulsione della Russia in seguito all’aggressione all’Ucraina –  da 46 Stati membri ed ha il compito di assicurare il rispetto di tre principi fondamentali: la democrazia pluralista, il rispetto dei diritti umani e la preminenza del diritto europeo. Vi lavora la Corte europea dei diritti dell’uomo che opera in base alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali ed è alla sua giurisdizione che si sono rivolti i giovani portoghesi, alla ricerca di un “giudice a Berlino”, sperando di trovarlo a Strasburgo, chiedendogli di valutare ritardi ed omissioni di cui sono responsabili i Paesi europei che non rispettano gli  impegni giuridicamente vincolanti sottoscritti con l’Accordo di Parigi del 2015.

Sarà anche interessante vedere come seguirà questa complessa vicenda giuridica la Commissione dell’Unione Europea a Bruxelles, un’istituzione da non confondere con il Consiglio d’Europa, ma anch’essa chiamata a vigilare sul rispetto dei Trattati europei dai quali sono derivate in questi ultimi anni misure vincolanti per la salvaguardia dell’ambiente e oggi messe in discussione da Paesi membri che le avevano sottoscritte, tra questi l’Italia.

In una fase della storia nella quale il diritto internazionale è sotto pressione e rischia di perdere pezzi, come nel caso del diritto del mare a fronte di salvataggi di migranti, non sarà facile procedere  rapidamente, né nel caso portoghese né in quelli italiani, ma è ad onore dell’Europa e dell’Italia con le loro istituzioni, garanti della democrazia, provarci.

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