Europa, affondare nelle dichiarazioni di principio

105

“Grande è la confusione sotto il cielo, allora l’occasione è ottima” avrebbe detto Confucio delle responsabilità a proposito del dramma dei migranti nel Mediterraneo. Siamo tentati di dirlo anche noi in questi giorni di ripresa degli sbarchi sulle coste italiane, senza dimenticare quanto avviene su altre coste mediterranee e sulle rotte balcaniche. L’occasione è ottima almeno per fare un po’ di chiarezza sulle responsabilità di chi fa e di chi non fa.  

Fanno molto per alimentare i flussi migratori Paesi o economicamente esangui o politicamente instabili come la Libia, interlocutrice inaffidabile, governata più dagli scafisti che da presunte “autorità”, permanentemente provvisorie. Fa molto per alimentare la confusione anche la propaganda elettorale che cavalca tragedie alla ricerca del consenso, come chi chiede di chiudere i porti (perché da noi sono chiusi esercizi pubblici!) o che minaccia un blocco navale impossibile,  come dovrebbe sapere chi ambisce a governare questo nostro Paese.

Fa quello che può l’Italia, da anni sotto pressioni migratorie denominate “emergenze”, nonostante si ripetano da una ventina d’anni. Risponde spesso con generosità al momento del salvataggio in mare o allo sbarco, senza riuscire a organizzare stabili strutture di accoglienza redistribuite su tutto il territorio, perché non solo fuori d’Italia non c’è posto per questi sgraditi ospiti, ma anche in regioni protette dalle Alpi e senza pericolosi sbocchi sul mare. Non sono mancati i tentativi per garantire “corridoi umanitari”, ma hanno prevalso discutibili sostegni alla Libia, che ancora recentemente  Mario Draghi ha incautamente elogiato per il suo contributo a fare fronte ai flussi migratori in cambio di finanziamenti, quasi come l’Unione Europea con la Turchia.

Ha fatto poco finora l’UE perché, si ripete anche a ragione, priva di competenze su questo versante, come su molti altri, al punto che molti comincino a chiedersi a che cosa serva un’Unione Europea che (non) funziona così.

E’ questo un nodo su cui fare chiarezza se si vuole un giorno scioglierlo. Perché a leggere i primi articoli del Trattato di Lisbona, vecchio di una dozzina d’anni ma tuttora in vigore, sembrerebbe che l’UE possa essere attrezzata ad intervenire sul tema. Basterebbe leggere le prime righe dell’art. 2 dove si dice che “L’unione si fonda sul rispetto della dignità umana, della libertà e… del rispetto dei diritti umani”. E come se non bastasse, il Trattato prosegue all’art. 3, dichiarando che “L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo e l’immigrazione…”. 

Una dichiarazione che, si direbbe, basta e avanza per fare qualcosa per il dramma migranti. Purtroppo non funziona così, perché procedendo nella lettura degli articoli seguenti del Trattato, quando vengono esplicitati i criteri di intervento, si deve fare i conti con il “principio di attribuzione”, secondo il quale “Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri” (art. 5.2): è il caso delle politiche migratorie. E tuttavia qualche possibilità di sciogliere il nodo potrebbe offrirla l’art. 5,3 dove si legge che “L’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri”, come sembra evidente nel caso della pressione migratoria alle frontiere UE.

Tutto molto complicato, ma una cosa l’abbiamo capita: se le altisonanti dichiarazioni su principi e valori dell’Unione non si traducono in “appropriate” competenze, affidate con chiarezza alla responsabilità comunitaria, il risultato è duplice: si ingannano i cittadini e si suicida l’Unione.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here