I walk the line: presìdi di solidarietà lungo la rotta balcanica

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APICE condivide il manifesto-appello “I walk the line: presìdi di solidarietà lungo la rotta balcanica”, promosso da CISL, ISCOS e ANOLF.

Di seguito, il testo integrale dell’appello.

Clicca qui per scaricare il manifesto in formato pdf


Da inizio anno alle porte dell’Unione Europea, su quella che viene ormai definita ‘la rotta balcanica’, migliaia di ‘persone in transito’, migranti e richiedenti asilo sono bloccate in condizioni disumane e in pericolo di vita.

Questa situazione non è purtroppo nuova lungo i confini dell’Unione Europea dove almeno dal 2015 si stanno erigendo barriere e muri, si stanno respingendo persone, si stanno attrezzando campi, in aperta e ostile violazione dei diritti umani, del diritto internazionale e dei diritti costituzionali di tanti stati membri. È necessario richiamare tutti i soggetti e gli attori coinvolti al rispetto, tra gli altri, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Convenzione di Ginevra e la Costituzione Italiana.

Per cercare di alleviare questo ennesimo disastro umanitario lungo la ‘rotta balcanica’, si sono attivati tantissimi/e cittadini/e da Austria e Germania, anche per la forte presenza in questi Paesi della diaspora bosniaca, e dall’Italia e da altri paesi europei a supporto dell’azione della Croce Rossa e di altre associazioni e volontari locali. Tra queste sono particolarmente attive Ipsia (Acli), Caritas, No Name Kitchen, Sos Balkan route, Pomozi.ba, Emmaus, KomPass Sarajevo 071, volontari e attivisti italiani e internazionali. Attraverso di loro è partitas pontaneamente una catena di solidarietà, da diverse parti d’Italia, che ha coinvolto cittadini, associazioni, parrocchie, circoli di partito, sindacati ecc. con raccolta di denaro, indumenti e altri beni indispensabili.

Sono diverse le aree della Bosnia Erzegovina dove la situazione è critica, non solo nel Cantone di Una-Sana, ma anche nelle aree di Tuzla, Mostar e nella stessa Sarajevo, così come in Serbia, Montenegro e altre aree dei paesi balcanici.

Anche Anolf e la rete Iscos (attiva da anni con progetti di cooperazione in Bosnia Erzegovina) si sono posti il problema di come contribuire concretamente – con azioni di sensibilizzazione, solidarietà e pressione politica – a prestare soccorso in loco e continuare a lottare insieme alla Cisl e alla Confederazione Europea dei Sindacati CesEtuc per rimuovere le cause di questa grave violazione dei diritti umani.

Durante queste settimane abbiamo avuto modo di incontrare e confrontarci con attivisti e operatori locali attivi lungo la rotta balcanica, ma anche con europarlamentari, sindacalisti, esponenti delle istituzioni, giornalisti e ricercatori per meglio comprendere la situazione e proporre azioni e interventi. Siamo, quindi, consapevoli che sia quanto più urgente attivare ogni risorsa possibile per un’azione di pressione sociale e politica nei confronti del Governo italiano, della Commissione e Consiglio UE affinché cessino le violenze, le deprivazioni e le violazioni dei più elementari diritti umani.

In particolare riteniamo indispensabile dare centralità al Parlamento Europeo come luogo di decisione e programmazione delle politiche in materia di migrazioni. Crediamo che occorra modificare radicalmente il pacchetto di misure per le politiche migratorie attualmente in discussione, e che queste siano discusse e decise inottemperanza ai più elementari diritti umani e internazionali, su cui l’Unione Europea ha fondato la propria storia e la propria ragion d’essere.

Le politiche migratorie, in qualsiasi modo intese, non possono includere – come avviene da almeno cinque anni a questa parte – pratiche e misure in aperta ed esplicita violazione del diritto internazionale, dei diritti umani e dei diritti costituzionali dei singoli stati membri: come avviene oggi per i casi di ‘riammissioni informali’, respingimenti, negazione del soccorso, violenza e tortura. Molte di queste pratiche ormai frequenti da parte di forze dell’ordine e dei ministeri degli interni europei si attuano in manifesto disprezzo della legalità e in particolare in violazione del Codice frontiere esterne dell’Unione, del Regolamento Dublino III e delle altre normative in materia di diritto di asilo. Occorre riconsiderare profondamente il ruolo e l’azione di Frontex, che non può attuare azioni di respingimento.

Cosi come, bisogna rimuovere quanto prima tutte quelle misure che criminalizzano le ‘persone in transito’ perla loro stessa condizione di aver intrapreso un percorso migratorio, che di per sé viene a costituire una forma di ‘reato’. Non si possono colpevolizzare le persone per il solo motivo di cercare di scappare da situazioni di guerra, povertà, tortura, violenza sociale e politica. Invece di aprire canali e spazi di tutela, si perseguono e si privano del riconosciuto diritto a sperare in una vita degna di essere vissuta. Troppo spesso le politiche repressive e la persecuzione nei confronti delle persone in transito favoriscono, invece di frenarla, l’azione dei trafficanti con il conseguente acuirsi di violenze, privazioni, torture e dinamiche ricattatorie.

Occorre, inoltre, interrompere le azioni volte a criminalizzare i volontari e le OSC che si attivano per azioni di solidarietà nei confronti delle ‘persone in transito’, migranti e richiedenti protezione internazionale. Non sono accettabili nella maniera più assoluta le azioni di intimidazione, repressione e criminalizzazione attuate, anche recentemente nel nostro Paese, nei confronti di attivisti e volontari che prestano elementari azioni di aiuto, soccorso e solidarietà a persone afflitte dalle violenze subite e dalle carenze patite ai limiti dell’umanità.

Questo stato di cose alimenta e giustifica, in qualche misura, l’aumento degli hate speech e della cultura dell’odio, della discriminazione e della violenza nei confronti delle persone in transito da parte dei comuni cittadini, anche nei confronti dei volontari, e soprattutto delle volontarie, che cercano di prestare soccorso, che vengono spesso minacciate, derise, umiliate, molestate dai loro stessi concittadini/e. Bisogna, pertanto, porre fine alle violenze fisiche e psicologiche che le persone in transito subiscono quotidianamente su più livelli.

Siamo contrari e respingiamo qualsiasi intervento europeo o nazionale che preveda l’allestimento e la strutturazione, lungo i confini comunitari e all’interno dei propri stati membri (es. Grecia), di campi di accoglienza ‘temporanea’, perché questi non fanno altro che replicare e accentuare meccanismi di esclusione, discriminazione e segregazione sociale per persone, famiglie e minori colpevoli solo di aver intrapreso un percorso migratorio, come testimoniato dalle condizioni di vita, anche di donne e bambini, in campi gestiti dall’OIM come Blažuj(Sarajevo) o Sedra (Cazin).

Riteniamo pertanto urgente:

avviare procedure di evacuazione dai campi formali e informali, dalle cosiddette ‘jungle’ e dagli squat di tutte le persone lì bloccate volontariamente o involontariamente, anche attraverso l’apertura di corridoi umanitari e forme di protezione internazionale;

promuovere ogni forma di supporto europeo e nazionale per favorire in tutta l’area lo sviluppo di forme di accoglienza ordinaria e diffusa che non risponda alla logica dei campi, in particolare a favore delle situazioni più vulnerabili;

che le istituzioni italiane (anche a livello locale) e quelle europee si adoperino con ogni mezzo nei confronti delle autorità dei paesi coinvolti affinché le ONG e le organizzazioni di volontariato internazionale non subiscano vessazioni o intimidazioni e che le disposizioni che regolano la loro attività di assistenza alle ‘persone in transito’ e ai migranti siano comunque tali da rendere di fatto possibile la loro attività;

➤ che vengano al più presto attivati sistemi e procedure di monitoraggio indipendenti per verificare, in maniera imparziale, quanto avviene all’interno dei campi, nei territori di confine e nelle procedure di controllo degli stessi confini;

che il Governo italiano chiarisca subito quanto sta avvenendo ai propri confini orientali e che si attivi uno stretto controllo ed una eventuale censura da parte degli organismi preposti sulle procedure di riammissione dei migranti tra Italia, Slovenia e Croazia, e sulle eventuali violenze commesse durante queste procedure nei confronti delle ‘persone in transito’, e sui respingimenti a catena tra questi Paesi e la Serbia e la Bosnia-Erzegovina, e al fine di tutelare con efficacia il diritto di accesso alla procedura di asilo nel rispetto del diritto della UE e della Convenzione di Ginevra del 1951;

che la Commissione Europea chiarisca e informi il Parlamento Europeo riguardo ai respingimenti a catena che coinvolgono uno o più suoi Stati membri;

che si crei un sistema di asilo sostenibile, basato sulla condivisione delle responsabilità e con un approccio che ponga al centro i diritti e la solidarietà come previsto anche dall’Art. 80 del Trattato sul funzionamento dell’UE, anche attraverso un’adeguata riforma del Regolamento Dublino, superando il criterio che lega la competenza ad esaminare la domanda al Paese di primo ingresso e prevedendo una distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo tra tutti i Paesi europei coinvolti sulla base di parametri equi che tengano altresì conto dei legami significativi dei richiedenti con il loro Paese di origine;

che sia garantito ai cittadini stranieri l’informazione e la possibilità di chiedere alla frontiera, protezione internazionale, anche avvalendosi dell’operato di qualificati Enti ed Associazioni;

➤ invitare tutte le istituzioni locali, le Regioni, le organizzazioni sindacali, i partiti ad approvare risoluzioni, mozioni e odg, richiedendo al Governo italiano risposte su quanto sta succedendo lungo la rotta balcanica, affinché possa esercitarsi, dal basso e democraticamente, una reale azione finalizzata al cambiamento in materia di politiche migratorie, che possa finalmente riconoscere i diritti delle persone e far cessare le violenze fisiche e psicologiche ai danni di chi è oggi bloccato alle nostre ‘frontiere’.

Roma, 24 marzo 2021

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