La solidarietà europea non è gratis

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Esistono evidenze che non è male ricordare, anche per quanto riguarda l’Unione Europea e la sua ritrovata solidarietà nella disgraziata stagione che stiamo vivendo. Cominciando col ricordare che in politica, compresa quella “buona” , la solidarietà non coincide con gratuità. Meglio allora chiamarla “convergenza di interessi e accordi condivisi”, sia che si guardi all’immediato o a medio-lungo termine.

La decisione “storica” del 21 luglio di dotare l’Unione di ingenti risorse per affrontare la sfida della ripresa economica è stata un atteso ritorno di solidarietà europea, da non confondersi con un simpatico regalo di Babbo Natale in un clima di tranquilla concordia tra i 27 Paesi UE. Lo si sarebbe dovuto capire già dal parto travagliato di quella decisione, giunta dopo quattro giorni e quattro notti di contrasti anche aspri tra i leader europei, e lo confermano le tensioni non ancora risolte di questi giorni.

Riassumiamo: le risorse comunitarie deliberate dall’UE in questo semestre, a trazione Merkel, si aggirano attorno a 1835 miliardi di euro e questo senza contare il Fondo intergovernativo del salva-Stati (il famigerato Meccanismo europeo di stabilità – MES) e ai quasi 2000 miliardi di euro di acquisto di titoli (cioè debiti) pubblici acquistati dalla Banca centrale europea (BCE). Delle citate risorse comunitarie, 1085 miliardi di euro sono la dotazione del bilancio 2021-2027 provenienti dai contributi nazionali  e  750 miliardi sono risorse aggiuntive (il Piano “Next generation EU”), divise circa a metà tra prestiti e contributi a fondo perduto,  questi ultimi da ricavare con entrate di nuova fiscalità europea.

Ricapitoliamo: non un euro è gratuito di questa massa di soldi attivati dall’UE. Per semplificare: chiarito – se fosse ancora necessario, come sembra – che i prestiti sono da rimborsare in grande parte dalle future generazioni, quelli che chiamiamo contributi a fondo perduto sono frutto della fiscalità nazionale e, in futuro, europea: provengono cioè dalle tasche dei contribuenti europei: in altre parole, come contribuenti li abbiamo già pagati o li pagheremo.

Tutte queste banalità per introdurre un tema che sarà di bollente attualità nei giorni che verranno. Tornerà a giorni sul tavolo del Consiglio europeo la riforma del MES (Meccanismo europeo di stabilità), un fondo finanziario internazionale (non comunitario), creato nel 2012 con un capitale di 700 miliardi di euro, cui la Germania partecipa con il 27% e l’Italia con il 18%. L’obiettivo, alla sua creazione, era di venire in soccorso a Paesi in difficoltà finanziaria, come accadde con Spagna, Portogallo, Irlanda, Cipro e Grecia condizionandone allora l’erogazione a rigide condizioni: tra queste, il taglio di deficit e debito e la realizzazione di riforme strutturali sotto il controllo della Commissione europea, la BCE e il Fondo monetario internazionale (FMI), quella famigerata Troika che ha lasciato un pessimo ricordo di sé in Grecia.

Nella crisi attuale il MES è stato rivisto, limitandone la condizionalità alla spesa sanitaria diretta o indiretta, con la possibilità per l’Italia di ottenere un prestito di 37 miliardi di euro, a tassi vicino allo zero con scadenza decennale, e di rendere disponibili in caso di necessità ulteriori risorse a salvaguardia di un’eventuale crisi del sistema bancario. 

È comprensibile che tutte queste risorse, comunitarie e non – nessuna delle quali gratuita – debbano rispettare gli impegni politici presi dai beneficiari, seguendo gli orientamenti condivisi con le autorità europee competenti, in particolare per realizzare le riforme necessarie per il buon funzionamento dell’Unione e dei Paesi membri, accompagnando quelli  in difficoltà finanziaria a controllare il deficit e a rientrare progressivamente dal debito pubblico. Un messaggio che l’Italia non può trascurare, viste le sue condizioni  economiche e finanziarie e i suoi ritardi ad affrontare riforme attese da tempo.

Si tratta di un messaggio che non vale solo per il MES ma per tutti i Fondi comunitari, quelli che l’Italia in molta parte non riesce a spendere, o non si è mostrata in grado di destinare a investimenti piuttosto che a spesa corrente, senza dimenticare quanto si disperde nelle frodi.

Come dire che è difficile capire l’ostilità riservata al MES e non ai restanti fondi, come se l’uno e gli altri non dovessero rispettare gli impegni presi per beneficiare della solidarietà europea.

1 COMMENTO

  1. Purtroppo i nostri politici non riescono a rivolgersi alla gente con le parole chiare e comprensibili di Franco! O non vogliono!??

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