Cambio di clima nell’Unione Europea

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Mentre su molte regioni d’Italia scatta il “livello viola” per l’inquinamento atmosferico che soffoca le nostre città, l’Unione Europea si tinge di verde, grazie a un inizio di cambio di “clima politico” nella lotta all’emergenza climatica.

Lo hanno annunciato due messaggi forti, arrivati prima da Strasburgo e subito dopo da Berlino, convergendo entrambi verso nuove politiche ambientali.

Nei giorni scorsi a Strasburgo sul fronte del clima si sono posizionati la Commissione europea e il Parlamento: la prima con il lancio del promesso Piano verde, il “Green Deal”, e il secondo con una Risoluzione che, adottata a larga maggioranza, sostiene la proposta della Commissione, chiedendole anche una maggiore ambizione.

Il Piano verde della Commissione per la lotta all’emergenza climatica era stato annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen fin dalla sua elezione alla guida della Commissione nel luglio scorso, confermato a dicembre in occasione dell’insediamento del nuovo esecutivo ed è diventato, appena un mese dopo, una programma di lavoro di dimensioni inedite nella storia dell’Unione Europea. E già questo incalzare dei tempi tradisce l’urgenza del problema e la determinazione delle Istituzioni comunitarie.

La proposta della Commissione impressiona per i numeri: mille miliardi di euro da mobilitare nei prossimi dieci anni per abbassare significativamente le emissioni inquinanti e avviare l’Unione Europea verso l’obiettivo di zero emissioni alla scadenza del 2050. Si comincia da subito con la proposta di destinare almeno il 25% del bilancio UE 2021-2027 al risanamento ambientale, riservando una dotazione di 100 miliardi per assicurare un “meccanismo di transizione equa” a sostegno di regioni e settori industriali coinvolti in costose ristrutturazioni, con serie conseguenze occupazionali. Destinatari prioritari di queste misure di sostegno saranno Paesi a forte dipendenza da energie fossili, come in particolare la Polonia che, al momento, resiste all’adozione del programma di “decarbonificazione” e non è la sola.

A Strasburgo, al “Piano verde” presentato il 14 gennaio dalla Commissione, è subito venuto in soccorso il Parlamento europeo con una Risoluzione che ne sostiene obiettivi ed impianto e ne chiede anzi il potenziamento. Lo fa chiedendo di rafforzare l’ambizione climatica per il 2030 e il 2050, mobilitare l’industria in favore di un’economia pulita e circolare, accelerare la transizione verso una mobilità sostenibile e intelligente, preservare e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità, il tutto assicurando una “transizione giusta”, anche per evitare turbolenze sociali.

Il giorno dopo, a livello nazionale, si è fatta sentire la Germania decidendo di uscire dall’uso del carbone entro il 2038, un impegno molto oneroso per un Paese ad alta concentrazione di produzione industriale che già nel 2011, dopo l’incidente di Fukushima in Giappone, aveva deciso di uscire dal nucleare. Per riuscire nell’impresa saranno necessarie grandi risorse finanziarie che, si spera, la Germania ricaverà prevalentemente dall’eccedente della sua bilancia commerciale piuttosto che dal bilancio UE.

Adesso la palla torna a Bruxelles, sul tavolo del Consiglio dei ministri dove i ventisette governi nazionali dovranno prendere posizione sulle proposte di Commissione e Parlamento e allargare i cordoni della borsa nel corso del negoziato per il bilancio UE 2021-2027 da concludere entro la fine dell’anno. Qui il clima politico è meno verde, tanto per la resistenza a rafforzare la dotazione del tesoro comunitario quanto per la sua attribuzione ai diversi Paesi: allo stato delle trattative non è eccessivo parlare di “allarme viola” e della molta strada che resta da fare per affrontare in modo credibile la lotta all’emergenza climatica.

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