La lezione di Brexit per l’Ue e per l’Italia

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Al Regno Unito non sono bastati oltre mille giorni per uscire dalla trappola in cui si è liberamente cacciato con l’azzardato referendum del giugno 2016, aggravato dall’esito infelice delle elezioni anticipate del giugno del 2017 e andato a sbattere in una procedura di divorzio dall’Unione Europea che continua a tenere tutti sulla corda, britannici soprattutto, ma anche gli altri cittadini UE.
Quando un giorno, a bocce ferme, gli storici cercheranno di capire l’azzardo britannico dovranno probabilmente cercarne le cause su fronti diversi: quello britannico naturalmente, ma anche nel resto d’Europa, se non anche nella storia movimentata del mondo in questo ultimo secolo.
Perché Brexit comincia da lontano, da quando il Regno Unito era un’importante potenza mondiale, a capo di un impero su cui un giorno il sole tramontò, lasciandosi alle spalle un residuo Commonwealth destinato a spegnersi anch’esso. 
Uscito coraggiosamente vittorioso dalla Seconda guerra mondiale, il Regno Unito capì subito che bisognava consolidare l’alleanza europea per rimediare al “suicidio d’Europa” della prima metà del ‘900: restano memorabili gli interventi di Winston Churchill, in particolare a Zurigo nel 1946 e a L’Aja nel 1948, in favore degli “Stati Uniti d’Europa”, che contribuirono alla nascita del Consiglio d’Europa nel 1949, senza tuttavia vedere la partecipazione del Regno Unito alla creazione delle prime Comunità europee degli anni ’50, dove fece il suo ingresso solo nel 1973.
Fu quello un ingresso tormentato, da una parte e dall’altra, tanta era la distanza tra i sei Paesi fondatori e l’isola di Sua Maestà: i primi intenzionati a una costruzione europea federale, il Regno Unito interessato ai vantaggi di un mercato in via di ampliamento.
Come dire che non si trattò di un matrimonio d’amore politico, ma di una convivenza per interessi commerciali.
Dopo quasi mezzo secolo da allora non è cambiato molto e la politica britannica è rimasta in bilico tra adesione e deroghe, fin quando l’azzardo di Brexit le ha fatto perdere il precario equilibrio e cadere nel baratro di un divorzio poco consensuale.
Ma se i britannici “se la sono cercata”, è anche vero che anche da questa parte della Manica qualche responsabilità c’è: non solo per aver consentito, seppure dopo una lunga anticamera, all’adesione britannica, ma più ancora per aver accordato al Regno Unito una serie di deroghe – dalle politiche sociali alla definizione del bilancio UE – che hanno finito per logorare il patto sottoscritto nel 1973 e adesso stracciato da un governo conservatore in preda al caos, cui non hanno mancato di contribuire le contorsioni del partito laburista.
Forse non è troppo tardi per imparare la lezione, né per l’Unione Europea né, al suo interno, per l’Italia.
In questa fase di probabile transizione per l’UE, all’indomani delle elezioni europee, sarà necessario fare chiarezza sul futuro del progetto di integrazione: dopo avere realizzato passi importanti verso una sovranità europea con la creazione di un grande mercato unificato, una politica commerciale comune e una moneta unica condivisa da 19 Paesi, adesso bisogna dire chiaramente se si vuole proseguire verso un’Unione politica uscendo dal guado dove l’UE ristagna da troppo tempo, perdendo ulteriore leadership nel mondo e mancando le risposte che i cittadini europei si aspettano dalle loro Istituzioni. Si tratta di rimettersi in cammino verso quell’orizzonte, cominciando con chi condivide il progetto e non chiede esenzioni: chi non ritenesse di potervi aderire subito – Ungheria e Polonia, per non citare altri – lo potrà fare in seguito, se avrà le carte in regola.
Sarà anche un’ottima occasione per l’Italia di riflettere alla bilancia tra limiti e vantaggi dell’appartenenza all’UE e decidere se tornare a essere un “Paese fondatore” della nuova Europa o rischiare di affondare solitaria nei gorghi tra Scilla e Cariddi, nomi che oggi potrebbero essere quelli di Russia, Cina e USA e altre eventuali potenze probabilmente non benevole con l’Italia.
Chi oggi invoca ad ogni piè sospinto la “sovranità nazionale” provi a ripassare la storia del “sovrano britannico” e la sua traiettoria malinconicamente calante nei secoli fino al caos di Brexit e, ieri, all’umiliazione britannica di dover chiedere – e ottenere da una generosa Unione Europea – una disperata proroga di qualche mese alla conclusione di un delirante negoziato, avviato con il grande orgoglio di “Brexit is Brexit” e spentosi nel caos della politica inglese.

Di Brexit e delle altre partite aperte sul futuro dell’Unione Europea – alla vigilia dell’importante appuntamento elettorale del prossimo 26 maggio – parleremo insieme martedì 2 aprile (ore 18.30), a Cuneo, in occasione dell’evento “La lezione di Brexit per l’Ue (e per l’Italia)” , presso la sala del periodico La Guida in via Bono 5.


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