Conferenza ONU sul clima: persa un’occasione storica

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La 15àƒâ€šà‚ª Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (COP15), svoltasi a Copenaghen con la partecipazione di 193 Paesi, circa 120 capi di Stato e premier e 45.000 richieste di accredito, si è conclusa con un accordo minimo non vincolante nà© a livello politico nà© legale.
Dal possibile accordo storico si è passati al «fallimento storico» secondo Greenpeace, una «occasione storica persa» l’ha definita Legambiente, mentre il presidente francese Nicolas Sarkozy ritiene si tratti del «migliore accordo possibile oggi» e quello statunitense Barack Obama ha parlato di «accordo significativo, ma che non basta». Molto critico il Parlamento Europeo, che chiede di «riformare con urgenza» il metodo di lavoro dell’ONU, mentre la maggior parte degli osservatori ammonisce sui rischi che i fondi promessi (30 miliardi di dollari per il triennio 2010-2012 e 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020) siano sottratti alla lotta alla povertà  .
Gli impegni finanziari, insieme al fatto che per la prima volta il dibattito mondiale sul clima ha coinvolto grandi Paesi quali Cina, India e soprattutto i principali inquinatori USA, sono gli unici aspetti da salvare di una Conferenza per il resto totalmente deludente.
Innanzitutto dal Vertice non solo non è uscito un Trattato, ma lo stesso accordo minimo raggiunto non è politicamente vincolante. Alla vigilia si pensava che il Trattato legalmente vincolante, sull’esempio di quello di Kyoto, sarebbe stato definito nel corso del 2010, ma l’accordo di Copenaghen non fa riferimento a scadenze lasciando totalmente aperta la trattativa sui tempi. àˆ stato deciso di mantenere l’aumento della temperatura nei prossimi decenni entro i 2 °C, ma sulle modalità   per raggiungere tale obiettivo non ci sono indicazioni precise. Infatti, le emissioni di anidride carbonica dovrebbero essere abbattute del 50% a livello mondiale entro il 2050, ma i Paesi dalle economie emergenti quali Cina, Brasile e India per accettare simili riduzioni chiedono ai Paesi industrializzati impegni ambiziosi già   entro il 2020, con tagli del 25-40% delle loro emissioni dannose. Su questo solo l’UE ha preso impegni seri, con una riduzione del 20% entro il 2020, mentre gli USA ipotizzano il 17% e il Giappone il 25% ma prendendo come anno di riferimento il 2005 anzichà© il 1990 come fa l’UE, ridimensionando così nettamente il loro impegno. Su questo punto, l’unico accordo preso a Copenaghen è stato che entro la fine di gennaio 2010 ogni Paese comunicherà   all’ONU gli obiettivi che si è volontariamente dato per limitare le emissioni, senza alcun vincolo internazionale. Un accordo raggiunto tra gli USA e i principali Paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Sudafrica) prevede poi una potenziale maggior trasparenza rispetto al passato, con inventari biennali delle emissioni da comunicare secondo specifiche linee guida (che devono perಠancora essere delineate) e che potranno essere sottoposti a «consultazioni e analisi internazionali».
«Lavoreremo da subito per rendere vincolante entro il 2010 l’accordo raggiunto a Copenaghen» ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ma la dichiarazione finale del presidente della sessione plenaria secondo cui «la Conferenza decide di prendere nota dell’Accordo di Copenaghen del 18 dicembre 2009» è tanto freddo quanto poco promettente, lasciando trasparire tutto lo scontento e il distacco della maggior parte dei Paesi partecipanti.
«Nonostante il mandato ricevuto dai cittadini di tutto il mondo, i nostri leader non hanno agito come tali. Non hanno portato a termine il loro compito. Il risultato non è equo, nà© ambizioso e legalmente vincolante. Oggi, i potenti della Terra hanno fallito l’obiettivo di impedire cambiamenti climatici disastrosi. La città   di Copenhagen è la scena di un crimine climatico, con i colpevoli che scappano verso l’aeroporto, coperti di vergogna. I leader mondiali hanno avuto un’occasione unica per cambiare il pianeta in meglio, evitando i cambiamenti climatici. Alla fine hanno prodotto un debole accordo pieno di lacune» ha commentato il direttore esecutivo di Greenpeace International, Kumi Naidoo.

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