Commemorazioni di sangue in Palestina

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Il 14 maggio 2018 rimarrà, per la Palestina, un giorno particolare, segnato dalla violenza e dalla consapevolezza che il sogno di un equo e giusto processo di pace e di convivenza con Israele si è infranto a Gerusalemme. E’ stato il giorno in cui gli Israeliani hanno festeggiato settant’anni della nascita del loro Stato ed è stato il giorno in cui gli Stati Uniti, su decisione del Presidente Trump, hanno spostato la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, un gesto unilaterale, ma di alto valore simbolico e politico, volto a riconoscere la città santa come capitale di Israele.

La decisione di Trump, annunciata nello scorso dicembre, oltre ad aver sorpreso le cancellerie di mezzo mondo, è carica di preoccupanti conseguenze per la pace nella regione. Lo sottolineo’ immediatamente Papa Francesco, intervenuto, senza successo, per convincere il Presidente americano a desistere da una tale decisione :”Gerusalemme è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani ed ha una vocazione speciale alla pace. Rispettate lo status quo”.

Se, da una parte, questa decisione di Trump conferma un sostegno incondizionato degli Stati Uniti alla politica di Israele, dall’altra segna la sconfitta dell’intero popolo palestinese e della prospettiva di un futuro basato sulla soluzione a due Stati, con Gerusalemme est capitale della Palestina.

Per queste ragioni,  da alcune settimane a questa parte, la popolazione di Gaza costretta a disperate condizioni di vita e senza la prospettiva di una via d’uscita, manifesta lungo la barriera di confine con lo stato ebraico. Manifesta anche per commemorare, come ogni anno il 15 maggio, i settant’anni della “Nakba”, la “catastrofe” del 1948 e cioé l’espulsione di più di 800.000 Palestinesi dalle loro terre e per rivendicare quel “diritto al ritorno” dei rifugiati, previsto dalle stesse risoluzioni delle Nazioni Unite.

Sono manifestazioni che, pur inserendosi in un’esigenza di giustizia, stanno mietendo nuove e numerose vittime fra i palestinesi. La risposta dell’esercito israeliano, proprio questo 14 maggio, è stata più violenta che mai, causando più di 60 morti e quasi 3000 feriti.

Le reazioni della comunità internazionale, in particolare dell’ONU, della Lega araba, della Turchia e dell’Unione Europea rispecchiano, in parte, opposizione e preoccupazione per la politica di Trump e  non solo per il futuro di un ipotetico processo di pace israelo-palestinese, ma per l’insieme della stabilità in Medio Oriente. Anche la recente decisione statunitense di uscire dall’accordo sul nucleare firmato con l’Iran aggiunge comprensibili inquietudini in merito.

Federica Mogherini, oltre al richiamo a cessare le violenze e i massacri in corso,  ha ribadito la posizione immutata dell’Unione europea e cioé la soluzione a due Stati con Gerusalemme capitale di Israele e di Palestina. Al riguardo, sono apparse purtroppo divisioni all’interno dell’Unione stessa, con Romania, Repubblica ceca, Austria e Ungheria presenti alla cerimonia di inaugurazione della nuova Ambasciata americana.

Brutto segnale di divisione interna all’UE, ma soprattutto un brutto segnale per i Palestinesi, ormai sempre più soli a lottare per un futuro e per una pace sempre più irraggiungibili.

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