Unione Europea in attesa dell’estate

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Non c’era molto da aspettarsi dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo della settimana scorsa a Bruxelles, ma sarebbe anche sbagliato concludere che non sia capitato niente. I punti all’ordine del giorno non annunciavano grandi decisioni, ma qualche orientamento sul futuro dell’UE avrebbe potuto trapelare dal tradizionale laconico comunicato finale e da una grande quantità di schede allegate, qualcosa di più dalle dichiarazioni dei diversi leader.

A voler mettere insieme documenti ufficiali e non, sembra di capire che a Bruxelles c’è chi scalda i motori per una ripartenza dell’UE, chi frena il treno delle riforme e chi, come l’Italia, aspetta di capire la direzione che prenderà il Paese, con la speranza di non finire in Europa sul binario morto. Tra chi scalda i motori c’è, come previsto, la coppia franco-tedesca, non proprio un esempio di sicura armonia ma intenzionata a provocare qualche passo avanti all’UE, con più determinazione da parte di Emmanuel Macron, con più prudenza e impegni generici Angela Merkel. Tra i frenatori, oltre il catenaccio di cui sono specialisti i quattro di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca), guardati con simpatia dal nuovo governo austriaco e, forse, dal futuro governo italiano, si stanno segnalando i Paesi scandinavi e baltici sotto la guida del governo liberale dell’Olanda, uno dei Paesi fondatori. Comprensibilmente sui bordi del campo il fragile governo spagnolo, sempre alle prese con il problema catalano, e il governo italiano a “bagno maria”, nessuno sa fino a quando.

Eppure i temi sul tavolo non erano banali: dal rilancio del mercato unico (dal quale si appresta a uscire la Gran Bretagna) alla difesa di un “sistema commerciale multilaterale”, minacciato dai venti del protezionismo, nonostante la provvisoria sospensione USA sui dazi verso l’UE; dall’urgenza di rilanciare la crescita alla salvaguardia dello “zoccolo europeo dei diritti sociali”; dalla necessità di definire nuove regole fiscali, in particolari per i giganti del web, agli orientamenti per il futuro “Quadro finanziario pluriennale 2021-2027”, dove dovrebbero diminuire le entrate e aumentare le spese per sicurezza e immigrazione. Questi alcuni dei nodi che l’UE deve sciogliere al proprio interno, ma senza dimenticare quelli che la stringono dall’esterno. E’ il caso della prospettiva di un allargamento ai Balcani occidentali, ma non prima del 2025; dei difficili rapporti con la Turchia accusata di violazioni nel Mediterraneo orientale e per il suo coinvolgimento nel conflitto siriano fino alle tensioni crescenti con la Russia, aggravate dall’avvelenamento di una sua ex spia in Gran Bretagna. Su questo versante l’UE ha confermato la sua solidarietà ai britannici e alzato i toni verso Mosca, richiamando a Bruxelles il suo ambasciatore.

Si può comprendere che sia difficile governare dinamiche di questa complessità, ancor più quando lo dovrebbero fare d’intesa ventisette Paesi con visioni e simpatie politiche spesso divergenti. Una ragione in più, se ne potrebbe dedurre, per dare uno “scossone” a questa Unione, rivedendone politiche e Istituzioni e, se necessario, la lista dei partner, magari non necessariamente tutti i ventisette di oggi. Potrebbero essere una buona occasione le elezioni del Parlamento europeo nella tarda primavera del 2019, una scadenza ormai molto vicina. Solo il coinvolgimento attivo dei cittadini, insieme a quello che resta della nostra affaticata democrazia rappresentativa, potrà contribuire a un risultato significativo. Sperarlo è audace, ma non è proibito.

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