UE 2017: un anno ad alta intensità elettorale

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Poco tempo prima che iniziasse il nuovo anno, il 4 dicembre 2016, sembrò essere di buon augurio per l’Unione Europea il risultato delle elezioni in Austria, dove una fragile maggioranza euro-progressista aveva portato alla Presidenza della Repubblica il verde Alexander Van Der Bellen, vittorioso contro nazionalisti austriaci in crescita.

Una buona notizia confermata a marzo dal risultato delle elezioni politiche in Olanda dove era stata arginata l’ondata euroscettica e nazionalista di Geert Wilders, classificatosi tuttavia in seconda posizione.

Sempre in primavera il risultato elettorale più atteso era quello delle elezioni politiche in Francia dove incombeva la minaccia dell’estrema destra eurofoba di Marine Le Pen. Grazie al ballottaggio del secondo turno elettorale la vittoria andò al giovane filo-europeo Emmanuel Macron, con una significativa maggioranza nonostante i buoni risultati di populismi di destra e di sinistra e una massiccia astensione. Risultato confermato a giugno dalle elezioni politiche che diedero al giovane Presidente una confortevole maggioranza in Parlamento.

A fine estate l’attesa era tutta per l’esito delle elezioni tedesche del 24 settembre e qui i risultati furono meno felici per i sostenitori di un rilancio dell’integrazione europea. La vittoria scontata di Angela Merkel non bastò a nascondere il brutto risultato dei conservatori che la sostenevano e andò ad aggiungersi a una sconfitta storica dei socialdemocratici. Né i buoni risultati dei Verdi e dei liberali poteva occultare il successo clamoroso del partito nazionalista di estrema destra e il suo ingresso in Parlamento con un centinaio di suoi rappresentanti.

Vi sarebbero state ancora alcune elezioni nell’ultimo scorcio dell’anno: il 15 ottobre in Austria con una larga vittoria della destra di Sebastian Kurz e dell’estrema destra oggi al governo insieme, con la concessione di importanti ministeri a quest’ultima e non poche preoccupazioni per l’UE e l’Italia; il 31 ottobre nella Repubblica Ceca con il successo del miliardario populista Andrej Babis e il 12 novembre con le elezioni presidenziali in Slovenia, vinte da Borut Pahor, un “socialdemocratico di centro” con derive populiste.

Ultima in ordine cronologico ma non per il potenziale impatto politico in prospettiva per l’UE, è arrivata la consultazione elettorale indetta da Madrid in Catalogna il 21 dicembre per misurare il consenso alla rivendicazione indipendentista locale. L’esito del voto apre per la Spagna scenari incerti che interrogano l’UE e i suoi Paesi, come nelle recenti elezioni in Corsica, dove cresce la domanda di maggiori autonomie locali.

In favore di un rilancio del progetto comunitario non va dimenticata la spinta verso una “sovranità europea”, dotata di una propria capacità di difesa comune e di un governo economico dell’eurozona come proposto da Macron e dall’Italia, dall’altra non vanno sottovalutate le difficoltà politiche in cui si dibatte la Germania dentro una crisi politica inedita.

Da chiedersi adesso se gli esiti elettorali del 2017 – e quello italiano della primavera 2018 – saranno per l’Unione Europea un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. A voler essere ottimisti, per cominciare al meglio l’anno che viene, verrebbe da rispondere che possono essere vere entrambe le valutazioni. Sarà sicuramente un anno difficile se si guarda alla consistenza complessiva dei movimenti populisti e alle maggioranze di destra a dominante sovranista in Europa. Ci saranno speranze se si farà leva sulla spinta europeista francese e sull’auspicabile rafforzamento del motore franco-tedesco in caso di Grande coalizione in Germania. Senza dimenticare che il 2018 sarà l’anno decisivo per il negoziato di Brexit, il cui risultato potrebbe liberare l’UE dal Paese “grande frenatore” e svelare le vere intenzioni di Paesi UE oggi ostili o reticenti a proposito del progetto di Unione politica.

Il 2018 potrebbe finalmente essere per il futuro dell’UE l’anno della verità.  

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