Circa un quarto (26%) dei bambini che nell’UE hanno un’età inferiore ai tre anni frequenta servizi all’infanzia «formali» (pubblici o convenzionati), percentuale che sale all’84% nella fascia d’età che va dai tre anni all’inizio della scuola dell’obbligo.
Si tratta di percentuali ancora inferiori a quelle stabilite nel 2002 durante il Summit di Barcellona per rimuovere entro il 2010 gli ostacoli alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, che prevedevano una frequenza di almeno il 33% dei minori di tre anni e di almeno il 90% dei bambini tra i tre anni e la scuola dell’obbligo. I dati raccolti da Eurostat sono riferiti al 2006 e quindi all’UE25 (senza Bulgaria e Romania), riguardano circa 30 milioni di bambini ed evidenziano forti differenze tra gli Stati membri: per i bambini con meno di tre anni le percentuali più elevate di frequenza di servizi per l’infanzia formali sono registrate in Danimarca (73%), Paesi Bassi (45%) e Svezia (44%), mentre le più basse riguardano Repubblica Ceca e Polonia (entrambe al 2%); per la fascia d’età compresa tra i tre anni e la scuola dell’obbligo i livelli più elevati di frequenza si osservano in Belgio (98%), Danimarca (96%) e Francia (94%), i più bassi in Polonia (28%), Lituania (56%) e Malta (57%).
Per quanto concerne l’Italia, il recente Rapporto Censis 2008 evidenzia la scarsa tutela delle famiglie con figli: la capacità ricettiva dei servizi per la prima infanzia è stimata intorno all’11% della domanda, con ampie oscillazioni regionali; il 23% delle domande presentate presso gli asili nido comunali finisce in lista di attesa; solo il 27,8% delle donne lavoratrici con figli minori di tre anni ricorre agli asili pubblici o privati, mentre nel 63% le esigenze sono coperte da soluzioni familiari e nel 9,2% da baby sitter.