Brexit ha suonato la sveglia all’UE

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Nella settimana successiva a Brexit si è registrato in Europa una gran via vai di incontri e contatti tra i responsabili politici dell’UE, con segnali utili per cercare di capire qualcosa del futuro dell’Unione Europea.

Già nelle prime ore del “day after”, il 24 giugno, erano bollenti le linee telefoniche tra i governi europei e le Istituzioni comunitarie, sovraccariche quelle della Cancelleria a Berlino, della Banca centrale a Francoforte, sollecitate quelle dell’Eliseo a Parigi e di Palazzo Chigi a Roma, più tranquille quelle di Madrid, impegnata in una difficile vigilia elettorale.

Luoghi che disegnano un nuovo triangolo tra Germania, Francia e Italia in attesa che si formi, se possibile, il nuovo governo spagnolo. Come si vede, un paesaggio in parte nuovo, dove all’asimmetrico asse franco-tedesco si sta agganciando l’Italia, riunendo così i tre principali Paesi fondatori della prima Comunità europea col rischio di mettere ulteriormente ai margini la Commissione europea e con essa anche il Parlamento di Strasburgo.

Si è cominciato subito con un incontro a Parigi tra il presidente François Hollande e Matteo Renzi, cui ha fatto seguito a Berlino la riunione dei ministri degli esteri dei sei Paesi fondatori, in preparazione dell’incontro di lunedì 27 a Berlino tra Angela Merkel, François Hollande, Matteo Renzi e Donald Tusk, ininfluente presidente del Consiglio europeo. Subito dopo è stata la volta del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo a Bruxelles, all’indomani della sessione plenaria del Parlamento europeo e della riunione della Banca centrale in Portogallo, con entrambe le Istituzioni preoccupate di non perdere tempo con la Gran Bretagna e concentrarsi sul futuro dell’UE.

Nel frattempo ha fatto un salto in Europa anche John Kerry, Segretario di Stato USA, per testimoniare l’interesse e le preoccupazioni di Obama per lo strappo britannico.

Intanto una prima intesa si è registrata a Parigi tra Hollande e Renzi per un rilancio rapido del processo di integrazione da avviare entro i prossimi sei mesi, a partire dai nodi dell’economia e dei flussi migratori, non perdendo tempo nella complessa procedura di divorzio dalla Gran Bretagna. Una posizione sostanzialmente condivisa dai ministri degli esteri dei sei Paesi fondatori, compreso dal ministro degli esteri tedesco, il social-democratico Frank-Walter Steinmeier, in velato dissenso con la sua Cancelliera, la quale ha lasciato chiaramente trapelare il suo orientamento a procedere gradualmente e, nei limiti del possibile, con atteggiamento amichevole nei confronti della Gran Bretagna.

Al centro di tutti questi intrecci, due le principali opzioni politiche: quella franco-italiana, appoggiata dal Parlamento europeo con il voto contrario dei Cinque stelle, di liquidare rapidamente la pratica del divorzio e lanciare subito politiche espansive per la crescita, facendo leva sulla flessibilità consentita dalle regole europee e l’opzione tedesca, più guardinga, orientata alla gradualità nella separazione dalla Gran Bretagna e ferma sul rispetto delle regole sul rigore finanziario, compreso sul versante bancario. Una posizione che lascia intravedere la preoccupazione tedesca di guidare il “recesso” inglese con il massimo consenso possibile tra i 27, salvaguardandone la coesione insieme con gli interessi economici tedeschi oltre-Manica, in vista delle elezioni federali tra poco più di un anno in Germania.

L’incontro a quattro di lunedì a Berlino ha mandato un primo messaggio. Ripreso martedì e mercoledì a Bruxelles dal Consiglio europeo: l’esito delle urne inglesi va rispettato, da entrambe le parti, prendendo il tempo necessario per completare il divorzio, ma anche senza tardare troppo. La priorità è investire sul futuro dell’Unione che non può più essere quella di prima: non perché mancherà la Gran Bretagna, ma perché non dovrà mancare il consenso dei cittadini europei al processo di integrazione. Per questo è urgente dare risposte sulla sicurezza interna ed esterna, su economia e coesione sociale, con un occhio di riguardo per i giovani cui vanno proposti programmi ambiziosi.

Ai problemi istituzionali si penserà dopo, prima vengono i cittadini. Era ora.

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