Principali Paesi UE: protagonisti, comprimari e comparse

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Dopo aver passato brevemente in rassegna i protagonisti tra i massimi responsabili delle Istituzioni europee di questo primo anno di legislatura del nuovo Parlamento, può non essere inutile fare un bilancio analogo a proposito dei principali Paesi dell’Unione Europea e della loro azione in questi ultimi dodici mesi.

Cominciamo dal Paese più esterno, non solo geograficamente, all’UE: la Gran Bretagna, che ha vissuto un momento importante con le elezioni politiche l’autunno scorso. In quell’occasione, David Cameron, leader conservatore vinse nettamente, forte di una proposta molto critica nei confronti dell’UE, accompagnata dall’impegno a indire entro il 2017 un referendum sulla permanenza o meno della Gran Bretagna nell’UE e questo all’indomani di un analogo referendum che confermò la permanenza, per ora, della Scozia nel Regno, sempre meno, Unito di sua Maestà. Il referendum annunciato da Cameron si terrà probabilmente già l’anno prossimo, usandolo come arma di pressione per ottenere da Bruxelles un indebolimento dei vincoli imposti dagli attuali Trattati. È improbabile che l’operazione produca grandi risultati, ma nel clima di incertezza che sembra dominare l’UE tutto, o quasi, potrebbe accadere e non sono escluse sorprese.

Al di qua della Manica, il governo francese e il suo Presidente François Hollande, hanno atteso l’acuirsi della vicenda greca per mettere il naso fuori dal fortino in cui sono asserragliati in una Francia in gravi difficoltà economiche e sociali e con una caduta verticale del consenso popolare per il suo Presidente. Consenso risollevatosi in occasione della tragica vicenda dell’assalto terrorista al giornale satirico “Charlie Hebdo”, ma che ha ripreso a declinare subito dopo. Il contenzioso con la Grecia ha fornito a Hollande l’occasione per portarsi sull’avanti della scena europea, affiancando Angela Merkel, prima sottoscrivendo con la Cancelliera una proposta di rafforzamento dell’eurozona e poi cercando di farsi prudentemente avvocato delle disperate richieste greche, non certo per vicinanza politica ad Alexis Tsipras, quanto piuttosto per cercare di ammorbidire, in prospettiva anche per la Francia, la severità delle regole imposte da Berlino.

Perché è stata in questi mesi Berlino la vera capitale, se non dell’UE a 28, almeno quella dell’eurozona dei 19 Paesi alle prese con la difesa dell’euro. Vi si sono distinti almeno tre personaggi chiave, accompagnati dalla voce flebile dei socialdemocratici, membri della coalizione al governo. I loro nomi sono noti: Jens Weidman, Presidente della Banca centrale tedesca e “falco” all’interno della direzione della Banca centrale europea (BCE), in perenne contrasto con il suo Presidente Mario Draghi; Wolfgang Schaeuble, ministro delle finanze e irriducibile “falco” all’interno del gruppo dei ministri finanziari dell’eurozona e, la “Regina d’Europa”, Angela Merkel, alle prese con il rischio di perdere il sostegno dei due “falchi” della sua squadra e di parte del suo elettorato e la necessità di assumere una progressiva leadership nell’UE, con tutte le responsabilità che questa comporta, anche in possibile contrasto con gli immediati interessi nazionali. Che sia stato un gioco delle parti o un’incrinatura all’interno del partito della Cancelliera è ancora presto per dirlo: per ora si deve costatare che anche in questa occasione la Merkel si è aggiudicata l’ultimo round, non spiaccia né ai suoi “falchi” né al Presidente francese che nel merito del “diktat” alla Grecia non ha ottenuto molto.

E che dire dell’Italia, l’altro “grande” Paese, almeno per popolazione e forza economica, e del suo ruolo in questi ultimi dodici mesi di mari in tempesta nell’UE? Intanto va detto che l’Italia è rimasta a galla e ha anche provato a navigare verso nuovi porti. L’ha fatto gestendo con un’inedita grinta la formazione dei nuovi vertici dell’UE, rivendicando per una sua rappresentante, Federica Mogherini, quel poco che esiste di responsabilità per la politica estera e di sicurezza, pagando il prezzo della rinuncia alla presidenza del Consiglio europeo, alla quale poteva essere candidato Enrico Letta. Nel corso del semestre di presidenza italiana dell’UE non sono stati inutili gli sforzi del governo italiano per far emergere alcuni temi. Quello delicato della flessibilità nella valutazione dei conti pubblici nazionali; quello, troppo trascurato, della priorità della crescita a fronte dell’ossessione dell’austerità fatta pesare da Berlino e quello, estremamente sensibile, di nuove e solidali politiche migratorie per le quali si sono visti alcuni primi stentati segnali di apertura.

In conclusione: un bilancio non brillante per nessuno dei quattro “grandi”, anche se in questo quadro deprimente hanno fatto maggiormente la figura di protagonisti la Germania e la Gran Bretagna, più di comprimari defilati la Francia e l’Italia.

Con la speranza che questo non sia troppo a lungo il destino dell’Unione Europea.

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