L’Unione Europea è reduce in questi ultimi dodici mesi da un intenso susseguirsi di consultazioni elettorali che ne hanno profondamente segnato il morale, oltre che la politica.
Si era cominciato nel marzo scorso con la parziale buona notizia, per il futuro dell’UE, grazie al risultato del voto olandese, non esaltante ma comunque in grado di arginare, almeno provvisoriamente, la marea populista e xenofoba.
A maggio era stato di grande conforto per l’UE la larga vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi, anche se nell’euforia del momento si era lasciato nell’ombra che al primo turno un elettore francese su due aveva votato contro il progetto europeo e al secondo molto alto era stato il picco dell’astensionismo.
A settembre, in Germania, la faticosa tenuta dei partiti tradizionali tedeschi, rispetto alle ali estreme dello schieramento politico, aveva fatto sperare in un prudente rilancio del processo di integrazione europea confermato poi, anche se con modesti impegni concreti, in forza del debole accordo di “Grande Coalizione”, finalmente sottoscritto dopo quasi sei mesi di faticose trattative tra socialdemocratici e una non più egemone Angela Merkel.
Colori autunnali per l’UE sono stati disegnati dalle elezioni dell’ultimo trimestre 2017: in ottobre sono andati alle urne l’Austria, la Repubblica Ceca e la Slovenia, con risultati non proprio rassicuranti per il futuro dell’UE.
È stato il caso in particolare dell’Austria che ha imbarcato al governo un partito di estrema destra a dominante nazionalista e razzista, cui sono stati affidati ministeri pesanti, come quello dell’Interno.
A completare il quadro è esploso il risultato del voto italiano del 4 marzo: un “cataclisma per l’Italia”, come ha titolato ‘Le monde’, e un rischio sismico anche per l’UE, dove le pulsioni nazionaliste sono diffuse un po’ ovunque: non solo nell’Europa centro-orientale, ma anche altrove, Paesi scandinavi compresi.
In questo panorama di un’Europa impaurita, l’Italia rischia di candidarsi a protagonista di una società chiusa, passando da Paese fondatore della Comunità europea, sessant’anni fa, a Paese suo “affondatore” domani.
Naturalmente, come per ogni impresa umana, questo esito tombale non è un destino ineluttabile e una politica responsabile e di visione lunga è ancora in grado di porvi rimedio.
Ci proverà il motore franco-tedesco in faticosa ripartenza, non solo per consolidata tradizione, ma anche per urgenti interessi, mentre crescono nel mondo le minacce del protezionismo, non solo americano, e le tensioni geopolitiche negli immediati dintorni dell’Europa.
Ci proverà in Italia, fino allo stremo, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che da sempre tiene dritta la barra in direzione della solidarietà e coesione europea, con l’obiettivo di richiamare le forze politiche vittoriose il 4 marzo al rispetto dei Patti europei, in attesa di cambiarli per proseguire il difficile cammino verso una più democratica Unione politica, con la speranza che la nuova Italia ne faccia parte.
Sarebbe appena coerente che proseguano con determinazione in questo impegno soprattutto le forze sconfitte del centrosinistra, valutando con lucidità e senza precipitazione se sia più efficace farlo stando all’opposizione o in un’alleanza giustificata da una situazione, italiana ed europea, ad alto rischio per tutti.